299. Condoglianze per un marito defunto
Minobu, 1278. Indirizzata a Myoho, monaca laica
Nella tua lettera si dice che hai spedito una veste sfoderata di filato ricavato dalla fibra di corteccia, un dono della moglie del tuo fratello maggiore. Si dice anche che Jiro Hyoe di Owari1 è deceduto nel ventiduesimo giorno del sesto mese.
Nei Sutra dei Successori del Budda2, il Budda descrive come saranno tramandati i suoi insegnamenti negli anni successivi alla sua morte. In quest’opera egli spiega che nei mille anni dopo la sua morte, il periodo noto come Primo giorno della Legge, manderà i suoi inviati, uno dopo l’altro, a trasmettere gli insegnamenti.
Il primo di questi successori sarà il Venerabile Mahakashyapa che trasmetterà la dottrina per vent’anni. Il secondo sarà il venerabile Ananda che la trasmetterà per vent’anni. Il terzo sarà Shanavasa che la trasmetterà per vent’anni, e così via, fino al ventitreesimo successore, il Venerabile Aryasimha.
Parlando di Shanavasa, il terzo successore, il Budda fece la seguente predizione. Il nome Shanavasa indica un tipo di veste. Accadrà un evento miracoloso, cioè questa persona nascerà con indosso una veste.
Le persone nate nei primi cinque dei sei sentieri dell’esistenza, dal regno dell’inferno a quello degli esseri umani, nascono immancabilmente nude. Solo i nati nel sesto sentiero, quello degli esseri celesti, nascono vestiti. Persino chi è destinato a diventare un santo o un saggio, se è un essere umano, verrà immancabilmente al mondo nudo. Persino il Bodhisattva Maitreya, che nel futuro succederà come Budda a Shakyamuni3, nacque così, per non parlare di altri tipi di persone.
Ciò nonostante però, quest’uomo, Shanavasa, nacque indossando una veste chiamata shana. La sua veste non era macchiata di sangue o di qualche altra impurità; era come un fiore di loto che cresce in uno stagno fangoso o come le ali dell’anatra mandarina che non si bagnano a contatto con l’acqua.
Inoltre, man mano che Shanavasa cresceva di età e dimensioni, aumentavano anche le dimensioni della veste. In inverno era spessa e in estate leggera; in primavera era verde, ma in autunno diventava bianca. Poiché Shanavasa era un uomo ricco, non mancava di nulla e col tempo adempì le predizioni che il Budda aveva formulato su di lui: entrò nell’ordine buddista e diventò un discepolo del Venerabile Ananda. In quel momento la veste che aveva sempre indossato si trasformò nelle vesti del monaco, larghe cinque, sette, e nove strisce.
Il Budda spiegò questi prodigi dicendo che innumerevoli kalpa fa, in un remoto passato, quest’uomo era stato un mercante. Insieme ad altri cinquecento mercanti stava accingendosi a prendere il mare per i suoi commerci quando, sulla spiaggia, scorse un uomo gravemente malato. L’uomo era un pratyekabuddha, degno di grande stima che, però, forse a causa di qualche azione passata, era caduto vittima della malattia. Il suo corpo era emaciato, la mente confusa ed era ricoperto di sporcizia. Il mercante ne ebbe pietà, e lo assistette con grande premura finché non fu guarito. Lavò la sporcizia che lo ricopriva e rivestì quel sant’uomo con una veste fatta di fibre vegetali grezze.
L’uomo, commosso e felice, disse: «Tu mi hai aiutato e hai ricoperto la vergogna del mio corpo. Io ti prometto che indosserò questa veste nell’esistenza presente e in quelle a venire». Alla fine l’uomo entrò nel nirvana.
Per i meriti acquisiti con tale azione, per innumerevoli kalpa ogni volta che il mercante rinasceva nel regno degli esseri umani o in quello degli esseri celesti aveva sempre questa veste che gli avvolgeva il corpo e non lo abbandonava mai.
In un tempo futuro, spiegò il Budda, dopo che io sarò morto, quest’uomo rinascerà come un santo di nome Shanavasa che diventerà il terzo successore degli insegnamenti. Egli costruirà un grande tempio sul monte Urumanda nel regno di Mathura e opererà per vent’anni, convertendo innumerevoli persone e propagando gli insegnamenti del Budda.
Così come il Budda aveva spiegato, tutte le gioie e i prodigi legati a questo monaco di nome Shanavasa derivavano dalla veste che egli donò all’uomo malato.
Io, Nichiren, sono un uomo del paese del Giappone, nel continente meridionale di Jambudvipa. Questo è un piccolo e remoto paese insulare in mezzo al grande mare, circa duecentomila e più ri a est del paese in cui il Budda fece la sua apparizione nel mondo. Inoltre, dalla scomparsa del Budda sono passati 2.227 anni. Senza dubbio gli indiani o i cinesi considerano gli abitanti del Giappone come questi ultimi considerano gli abitanti dell’isola di Oshima, al largo della penisola di Izu, o il popolo di Ezo, che risiede nella parte orientale del Mutsu4.
Io sono nato in Giappone, nella provincia di Awa, da genitori comuni, ho lasciato la famiglia, mi sono rasato il capo e indossato la veste del monaco. A quell’epoca ero deciso a usare la vita presente per piantare i semi della Buddità e fare tutto ciò che era in mio potere per abbandonare il regno di nascita e morte. I miei scopi erano uguali a quelli delle altre persone di allora e quindi ebbi fede nel Budda Amida e ne recitai il nome sin dall’infanzia. Ma, per via di alcune piccole cose, cominciai a nutrire dubbi sull’efficacia di quel metodo e perciò concepii la seguente determinazione.
Pensai che avrei cercato di conoscere bene tutti i vari sutra buddisti che erano stati trasmessi in Giappone, così come i trattati dei bodhisattva e i commentari scritti dai maestri della dottrina. Riflettei, poi, che c’erano molte scuole buddiste differenti, come quelle del Tesoro dell’Abhidharma, dell’Affermazione della verità, dei Precetti, delle Caratteristiche dei dharma, dei Tre trattati, della Ghirlanda di fiori, della Vera parola, e del Loto Tendai5, e che c’erano anche la scuola Zen e quella della Pura terra. Anche se non era possibile che approfondissi tutti i dettagli delle dottrine di ciascuna scuola, pensai che avrei desiderato quantomeno imparare i fondamenti di ognuna.
Perciò, per circa vent’anni, dai dodici o sedici anni fino ai trentadue6, ho viaggiato di provincia in provincia, di tempio in tempio, visitando Kamakura, Kyoto, il Monte Hiei, l’Onjo-ji, il Monte Koya e lo Shitenno-ji e studiandone le dottrine. Allora mi resi conto di qualcosa di molto strano.
Quando affrontiamo l’argomento con le nostre facoltà mentali limitate, tendiamo a pensare che gli insegnamenti buddisti rappresentino un’unica verità e che, da qualsiasi angolatura ci si accosti ad essa, se ci concentriamo, studiamo e desideriamo davvero riuscirvi, saremo in grado di liberarci dal regno di nascita e morte. In realtà, invece, se una persona si accosta agli insegnamenti buddisti e non li pratica correttamente, è assai probabile che cada nel grande abisso dell’offesa alla Legge.
Noi parliamo delle dieci azioni malvagie e dei cinque peccati capitali, ma, coloro che offendono la Legge sono peggiori di chi, giorno e notte, ruba, ha un comportamento sessuale improprio, mente, o commette qualcun’altra delle dieci azioni malvagie; sono peggiori di un uomo malvagio che uccide i propri genitori o commette qualcun altro dei cinque peccati capitali. Possono essere santi o saggi, preti e monache che osservano scrupolosamente tutti i duecentocinquanta precetti e custodiscono nella loro mente gli ottantamila insegnamenti; possono aver trascorso tutta la vita senza commettere nemmeno una sola azione sbagliata; possono essere riveriti come Budda dalle altre persone e personalmente essere convinti che non cadranno mai nei cattivi sentieri dell’esistenza; eppure cadranno nell’inferno certamente più di quelli che hanno perpetrato le dieci azioni malvagie o i cinque peccati capitali. Per lunghe epoche dimoreranno nella grande fortezza dell’inferno Avichi e non riusciranno a uscirne.
Per analogia, supponiamo che ci sia un uomo che, pensando di farsi strada nel mondo, entra al servizio del sovrano. Anche se non commette alcuna colpa evidente, c’è una certa trascuratezza nel suo modo di pensare che genera errori nel suo comportamento. Egli stesso non è consapevole di aver commesso qualche colpa e i suoi compagni non considerano particolarmente strane le sue azioni. Alla presenza della consorte del sovrano non si rende colpevole di alcuna mancanza palese eppure, in qualche misura, il suo comportamento tende a essere manchevole. Se una volta un tale uomo suscitasse il sospetto del sovrano, si troverà accusato di un errore maggiore di chi complotta apertamente una ribellione. E se si comporterà in maniera errata, anche i suoi genitori, i suoi fratelli e il suo seguito cadranno in errori tutt’altro che trascurabili.
Chi offende la Legge non è consapevole del crimine che commette, e anche le persone intorno a lui non la considerano una colpa. Tutti pensano che, finché la persona si dedica agli insegnamenti buddisti, vada considerata con rispetto. Così, sia la persona, sia i discepoli e i seguaci laici che la sostengono alla fine cadono nell’inferno di incessante sofferenza.
Fu così nel caso dei monaci Intento Superiore e Riva della Sofferenza. Essi osservavano scrupolosamente i duecentocinquanta precetti e non violarono mai, nemmeno una volta, alcuna delle tremila regole di condotta, eppure caddero nella grande fortezza dell’inferno di incessante sofferenza, senza che fosse fissata alcuna data per la loro liberazione. Inoltre, i discepoli e i sostenitori laici che li attorniavano più numerosi dei granelli di polvere della terra caddero ugualmente nell’inferno, dove patirono atroci sofferenze insieme ai loro maestri.
Queste persone non avevano altro pensiero in mente che compiere buone azioni a beneficio della loro esistenza futura, eppure andarono incontro a una simile disgrazia!
Avendo compreso queste cose, ho esaminato a grandi linee i sutra e i trattati, e sono giunto alla conclusione che la situazione del Giappone attuale è abbastanza simile. E, poiché viviamo in un’ultima epoca, ci sono pecche nel modo di governare e i tempi sono estremamente pericolosi. Ma in Giappone, a differenza di altri paesi, gli insegnamenti buddisti sono ampiamente diffusi e potremmo credere che dovrebbe predominare una condizione di relativa pace e ordine. In realtà, anche se gli insegnamenti buddisti sono ampiamente propagati in quest’epoca, assistiamo a un marcato declino e molte persone cadono nei cattivi sentieri dell’esistenza.
La ragione è che in Giappone si trovano più templi e pagode buddiste che nelle terre dell’India e della Cina, ma la gran maggioranza di esse è dedicata al Budda Amida. In più, ogni famiglia ha una statua o un dipinto del Budda Amida e ognuno recita il Nembutsu sessantamila o ottantamila volte. Inoltre, persino agli occhi dei più ignoranti sembra lodevole abbandonare qualsiasi pensiero degli altri Budda per appuntare le proprie speranze unicamente sulla regione occidentale di Amida. Anche tutti i sapienti sono d’accordo che una simile condotta è ammirevole e sono concordi nel lodarla.
Inoltre, durante il regno dell’imperatore Kammu, il cinquantesimo sovrano, nacque in Giappone un santo di nome Gran Maestro Kobo. Egli studiò e introdusse dalla Cina gli insegnamenti nuovi e insoliti della Vera parola, fu maestro degli imperatori Heizei, Saga e Junna e fondò il tempio To e quello del Monte Koya. In più, i santi chiamati Gran Maestro Jikaku e Gran Maestro Chisho studiarono e diffusero ampiamente gli insegnamenti di quella scuola e li propagarono nel Monte Hiei e all’Onjo-ji, fino a che tutti i templi del Giappone divennero centri della Vera parola. Persino oggi si praticano le dottrine della Vera parola, si suonano campane e si offrono preghiere per le famiglie dei funzionari di corte e dei guerrieri. E sono i sovraintendenti del Nikai-do, dell’Omi-do e di Wakamiya7 a farlo. Nei tempi antichi ci si affidava a tali preghiere e anche i sovrani della nostra epoca si affidano a esse, considerandole importanti come i pilastri di una casa, come il sole e la luna nel cielo, come un ponte per attraversare un fiume o una nave per solcare il mare.
Per quanto riguarda poi il caso della scuola Zen, gli osservatori dei precetti sono stati nominati in posizioni prestigiose al Kencho-ji e in altri templi Zen, dove le persone li rispettano più dei propri genitori e si affidano loro più fervidamente che agli dèi. Così tutti chinano la testa al loro cospetto e giungono le mani salutandoli con reverenza.
In un’epoca come questa, vediamo che, per qualche ragione, nei cieli accadono strani fenomeni, le comete attraversano il firmamento da est a ovest, oppure ci sono prodigi sulla terra, che si solleva come una nave capovolta dalle ondate sul mare in tempesta. Soffiano venti impetuosi che sradicano piante e alberi, ogni anno c’è una carestia, ogni mese scoppiano epidemie e pestilenze, e tremende siccità inaridiscono tutti i fiumi, gli stagni, le risaie e le coltivazioni.
Così le tre calamità e i sette disastri si sono succeduti senza sosta per diversi decenni spazzando via metà della popolazione. I superstiti, separati dai genitori, dai fratelli, dalle sorelle, dalle mogli e dai figli emettono grida strazianti come quelle degli insetti in autunno. Una famiglia dopo l’altra è stata smembrata e distrutta, come piante e alberi spezzati dalla neve in inverno.
E, se esaminiamo i sutra e i trattati, chiedendoci perché ciò sia accaduto, vediamo che il Budda predisse che quando le persone offendono il Sutra del Loto e non prestano ascolto alle parole del Budda, il loro paese soffrirà in questo modo. Questa predizione si è puntualmente avverata.
Poi, mi sono chiesto se ci fossero davvero in Giappone persone che offendono il Sutra del Loto e il Budda Shakyamuni. E mi sono detto che, anche se qualcuno li offende, forse la maggioranza crede in loro.
Eppure, come ho detto, qui in Giappone tutti costruiscono templi al Budda Amida e recitano il Nembutsu. E, se ricerco l’origine di tali pratiche, scopro che derivano dalle affermazioni di tre uomini: il Maestro di Meditazione Tao-ch’o, il Reverendo Shan-tao e l’Onorevole Honen. Sono loro i fondatori della scuola della Pura terra e i maestri della gente di oggi.
Quando questi tre uomini diffondono la pratica del Nembutsu, dichiarano che “non una singola persona ha mai conseguito la Buddità”8 con pratiche diverse da questa, che “neanche una persona su mille”9 può essere salvata, e che si dovrebbero “scartare, chiudere, ignorare o abbandonare”10 tutti gli altri insegnamenti. Ciò significa che coloro che hanno fiducia nel Budda Amida dovrebbero abbandonare tutti gli altri sutra, tutti gli altri Budda e divinità e rivolgersi unicamente al Budda Amida, ripetendo le parole Namu-Amida-butsu.
In particolare questi uomini esortano le persone ad abbandonare il Sutra del Loto e il Budda Shakyamuni e, poiché farlo è abbastanza facile, dapprima una persona, poi un’altra, lo fa senza mai soffermarsi a riflettere. Prima una persona comincia a seguire questi insegnamenti e poi lo fanno in diecimila. Prima lo fanno in diecimila e poi lo fa l’intera popolazione, dal sovrano ai gran ministri fino alle persone comuni, tutti, senza eccezioni. E così, al contrario di ciò che ci si aspetterebbe, il popolo del Giappone è diventato nemico del Budda Shakyamuni e del Sutra del Loto.
Il Budda Shakyamuni disse: «Tuttavia questo triplice mondo costituisce il mio dominio e gli esseri che ci vivono sono tutti miei figli. Questo luogo adesso è pieno di dolore e sofferenza. Io sono l’unica persona che può salvarli e proteggerli»11. Per questa ragione Shakyamuni è il sovrano di tutti gli esseri viventi del Giappone, il loro maestro e il loro genitore.
I sette regni delle divinità celesti, i cinque regni delle divinità terrestri e i novanta regni dei sovrani umani del Giappone12, tutte queste divinità e questi sovrani sono stati seguaci del Budda Shakyamuni, per non parlare dei loro servitori. Tutte le terre del Giappone attuale, le montagne e i fiumi, i mari, le piante e gli alberi sono tesori del Budda Shakyamuni. Nemmeno una minuscola parte di essi appartiene ai Budda di altri mondi, come Maestro della Medicina o Amida. Inoltre, le divinità celesti, le divinità terrestri e i novanta regni di sovrani umani del Giappone, insieme al popolo, alle mucche, ai cavalli, e a ogni essere vivente che nasce, sono figli del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti. In più, se queste divinità celesti e terrestri, i sovrani umani e il popolo del Giappone sono in grado di distinguere adeguatamente cielo e terra, acqua e fuoco, genitori, sovrano, uomini e donne, moglie e figli, bianco e nero, è dovuto interamente al fatto che il Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, è stato il loro maestro. Non è dovuto in alcun modo agli insegnamenti di qualche altro Budda come Maestro della Medicina o Amida.
Perciò abbiamo un grande debito di gratitudine verso questo Budda Shakyamuni, un debito più pesante della grande terra, più vasto del cielo, più alto del firmamento. È un Budda che sovrani e ministri dovrebbero onorare più dei loro genitori, e riverire più degli dèi. E se lo faranno, anche se dovessero commettere qualche grave colpa, il cielo li proteggerà e non li abbandonerà, e la terra non si mostrerà in collera con loro.
Oggigiorno, però, dal sovrano fino alla gente comune, tutti costruiscono templi dedicati al Budda Amida, collocandone l’effigie sugli altari come oggetto di culto. Sembra che sia questa la ragione per cui cielo e terra dimostrano la loro collera. Supponiamo, per esempio, che qualche persona di questo paese si senta attratta dai sovrani della Cina o del Koryo˘. Se comincia a voltare le spalle al sovrano del Giappone, non rimarrà illesa a lungo. Ma adesso è tutto il popolo del Giappone che si comporta così. Le persone sono attratte dal Budda Amida, il sovrano del paradiso occidentale, e perciò, voltano le spalle al Budda Shakyamuni, il sovrano del loro paese. Secondo me è questo che ha suscitato l’ira degli dèi protettori del Giappone.
La gente di questo paese non pensa che a costruire statue del Budda Amida, d’oro, d’argento o di bronzo, a realizzarne effigi in legno o dipinte, e poi a venerarle. Quando fanno copie del Sutra del Loto e immagini del Budda Shakyamuni si limitano a farlo con l’inchiostro di sumi o, se le statue sono di legno, non le ornano d’oro in foglia e le collocano in edifici rudimentali col tetto di paglia. Sarebbe come riservare grandi attenzioni a un perfetto sconosciuto, o dimostrare grande rispetto alla moglie e ai figli trascurando i propri genitori.
Poi c’è il caso della scuola della Vera parola, onorata dal sovrano e dalla gente comune, ammirata come il sole e la luna, considerata preziosa come una sorta di gioiello. Le dottrine di questa scuola dichiarano che, paragonato al Sutra di Mahavairochana, quello del Loto ha una importanza di secondo o di terz’ordine13 e che il Budda Shakyamuni è solo un servo del Tathagata Mahavairochana14.
Questi insegnamenti furono diffusi da Kobo, Jikaku e Chisho e anche adesso, oltre quattrocento anni più tardi, sono insegnati nei templi del Monte Hiei, To e Onjo, e dagli eruditi di tutto il Giappone.
Poi c’è la scuola Zen che pretende che l’insegnamento vero e corretto sia “una trasmissione separata al di fuori dei sutra”. Il Loto e altri sutra appartengono alla categoria degli insegnamenti scritti, e sono paragonati a un dito che indica la luna o a una barca dopo aver attraversato l’acqua. Nessuno ha più bisogno della barca dopo aver raggiunto l’altra sponda o del dito dopo aver visto la luna, dicono i maestri Zen.
Le persone di questa scuola non sono consapevoli che stanno offendendo la Legge e continuano semplicemente a tramandare gli insegnamenti che hanno ricevuto come se fosse una cosa del tutto naturale. Ma, in realtà, affermazioni di questo genere sono un insulto al Budda Shakyamuni e sono fonte di grave errore riguardo al Sutra del Loto. Fanno sì che le persone di questo paese commettano colpe ben più gravi dei cinque peccati capitali senza nemmeno rendersene conto.
Queste gravi colpe si accumulano finché si verificano casi come quello dell’ottantaduesimo sovrano, l’ex imperatore di Oki, e dell’ex imperatore di Sado15. Non solo fu loro strappato il potere da Yoshitoki di Kamakura, nella provincia di Sagami, la cui famiglia non aveva mai nemmeno fatto parte del seguito imperiale nelle generazioni passate, ma furono anche banditi in quelle isole, dove rimasero a lamentarsi. Col tempo morirono in esilio, le loro anime si trasformarono in fantasmi rabbiosi e caddero nella regione dell’inferno.
I gran ministri e gli altri funzionari del loro seguito furono decapitati o perirono nell’acqua o nel fuoco, le loro mogli e i figli morirono di paura e certe mogli andarono in sposa a popolani. Da allora sono trascorsi più di cinquant’anni e i loro discendenti sono trattati come gente comune.
E tutto questo è successo perché hanno avuto fede negli insegnamenti della Vera parola o in quelli Nembutsu, e si sono comportati da nemici implacabili del Sutra del Loto e del Budda Shakyamuni. E poiché si sono comportati così, sono stati abbandonati dalla Dea del Sole, dal Grande Bodhisattva Hachiman e dalle altre divinità del cielo e della terra, e dai tre tesori del Buddismo nelle dieci direzioni. Da vivi sono stati attaccati dai loro stessi seguaci e dopo la morte sono caduti nell’inferno.
Inoltre, vari anni dopo lo spostamento del centro del potere a est16, molti dei capi della scuola della Vera parola, che avevano causato la morte dei sovrani, giunsero a Kamakura dove si ingraziarono gli uomini dello shogunato. E siccome nelle loro terre d’origine erano preti d’alto rango, furono in grado di architettare vari inganni per ottenere privilegi e farsi nominare sovrintendenti in diversi templi di Kamakura. Inoltre, i preti Nembutsu, approfittando della loro posizione di consiglieri delle varie autorità di governo, diventarono capi dei preti del Daibutsu-den, del Choraku-ji, del Gokuraku-ji17 e di altri templi, mentre quelli della scuola Zen ottennero il rango di capi dei preti del Jufuku-ji, del Kencho-ji e di altri templi.
Così, le colpe commesse a Kamakura furono cento, mille, diecimila, un milione di volte più gravi di quelle che causarono il destino dell’ex imperatore di Oki. E a causa di queste gravi colpe la Dea del Sole, il Grande Bodhisattva Hachiman e le altre divinità del cielo e della terra, di comune accordo con Shakyamuni, Molti Tesori e i Budda delle dieci direzioni decisero di infliggere una punizione. Per questa ragione, un santo di un paese vicino, comprendendo i desideri di queste divinità e Budda, istruì il suo grande re18 che era impegnato a radunare soldati da innumerevoli paesi diversi, affinché punisse il sovrano, i ministri e il popolo del Giappone. Io, Nichiren, grazie ai miei studi dei sutra e dei trattati avevo già predetto che ciò sarebbe accaduto.
Ma, se avessi espresso con franchezza queste predizioni, il governante del paese sarebbe andato in collera e il popolo avrebbe rifiutato di ascoltarmi. Inoltre i credenti Nembutsu, i preti Zen e quelli dei Precetti, e i maestri della Vera parola sarebbero sicuramente andati su tutte le furie e, pieni di risentimento nei miei confronti, mi avrebbero calunniato presso il sovrano e i suoi ministri. Avrei incontrato personalmente gravi difficoltà e i miei discepoli, i seguaci laici, e chiunque dimostrasse anche una minima simpatia nei miei confronti, sarebbero stati accusati di qualche crimine. La mia sicurezza sarebbe stata in pericolo e forse anche la mia vita stessa.
A meno che non avessi in mente qualche astuto piano, avrei fatto meglio a rimanere in silenzio e non parlare apertamente. Eppure nei classici della letteratura non buddista si dice che, se un uomo saggio sa che il mondo va verso la distruzione e rimane zitto, egli non è che uno spregevole adulatore, un leccapiedi privo di qualsiasi senso del dovere. Perciò i saggi Kuan Lung-feng e Pi Kan ebbero il coraggio di parlare pubblicamente di questioni relative alla sicurezza del paese anche se, come risultato, Kuan Lung-feng fu decapitato e a Pi Kan fu squarciato il petto.
Se consideriamo poi la letteratura buddista, vediamo che il Budda aveva ammonito che chi vede un avversario del Sutra del Loto e non lo denuncia pubblicamente per paura del mondo è un nemico del Budda Shakyamuni. Per quanto saggio e buono possa essere, cadrà sicuramente nell’inferno di incessante sofferenza. È come un figlio che vede qualcuno che sta per uccidere i suoi genitori e non li avvisa, o un ministro che vede qualcuno che sta per rovinare il suo sovrano, ma, per paura degli altri, non lo rimprovera apertamente. Il Budda proibisce un simile comportamento.
Per questa ragione, il Bodhisattva Aryadeva, che era un inviato del Budda, fu ucciso da un seguace degli insegnamenti non buddisti; il re Dammira fece tagliare la testa al Venerabile Aryasimha; il prete cinese Chu Tao-sheng fu mandato in esilio sulla montagna a Su-chou, e il prete Fa-tao fu marchiato sul volto. Tutti questi uomini subirono un simile destino perché avevano onorato gli insegnamenti buddisti e non si erano fatti intimidire dall’autorità del sovrano.
Nel regno di un sovrano saggio, se c’è il sincero desiderio di rafforzare gli insegnamenti buddisti, il re deve ascoltare entrambe le parti in dibattito e scegliere come maestri i sapienti che hanno prodotto le argomentazioni più stringenti. In tal modo il paese godrà sicuramente di pace e sicurezza. Così, in Cina, i sovrani delle dinastie Ch’en e Sui convocarono il Gran Maestro T’ien-t’ai Chih-che per un dibattito con i capi delle varie scuole del Buddismo settentrionale e meridionale19 e, in Giappone, gli imperatori Kammu e Saga organizzarono un dibattito fra il Reverendo Saicho e i quattordici capi buddisti di Nara, la capitale meridionale20. E in base al vincitore del dibattito, i sovrani fecero costruire templi e promossero la propagazione dell’insegnamento corretto.
Ma altri sovrani, come i re Mihirakula e Udayana in India, gli imperatori Wu-tsung e Ch’in-tsung in Cina21, e gli imperatore Kimmei e Yomei in Giappone22 tributarono onori agli spiriti maligni o agli insegnamenti non buddisti, furono seguaci dei preti taoisti e adoratori degli dèi. Per tale ragione furono acerrimi nemici del Budda Shakyamuni, attirando così la rovina su di sé e il disordine nella società. Durante i loro regni i preti buddisti santi incontrarono grandi difficoltà.
Ormai il Giappone è diventato un paese nel quale le offese all’insegnamento corretto abbondano e sembra che i tempi siano maturi per l’invasione da parte di un paese straniero.
Chi ne è consapevole e non lo dice apertamente, anche se nell’esistenza presente può godere di pace e sicurezza, cadrà sicuramente nella grande fortezza dell’inferno di incessante sofferenza nella prossima vita. Ma, se, temendo una tale sorte, egli decide di parlare, deve essere preparato a subire l’esilio o la condanna a morte.
Consapevole di questo, durante l’epoca di Bunno [1260] sottoposi una petizione al defunto prete del Saimyo-ji, ma il mio consiglio non fu ascoltato.
A quel tempo i credenti Nembutsu, quando seppero ciò che avevo fatto, cospirarono con i loro seguaci di alto e basso rango, e mi attaccarono con lo scopo di uccidermi, anche se non riuscirono nel loro intento.
[Il reggente Hojo] Nagatoki, il governatore di Musashi, figlio del prete laico del tempio Gokuraku23, consapevole dei desideri di suo padre, mi fece esiliare senza una ragione plausibile nella provincia di Izu. Come tutti hanno potuto vedere, l’effetto è stato che il prete laico del Gokuraku-ji e Nagatoki sono morti e tutta la loro famiglia si è estinta.
Qualche tempo dopo, fui richiamato dall’esilio. Ancora una volta parlai apertamente come il sutra impone, con ancor maggiore veemenza di prima, e di nuovo, il dodicesimo giorno del nono mese dell’ottavo anno di Bun’ei [1271], fui esiliato, questa volta nella provincia insulare di Sado. Come avevo predetto al tempo in cui ero incorso nella disapprovazione delle autorità, i membri del clan reggente che mi avevano condannato all’esilio cominciarono a litigare fra loro24. Forse fu per paura di questo che fui richiamato ancora una volta dall’esilio. Tuttavia i miei consigli non furono ascoltati e la gente comune nutrì un astio ancor maggiore nei miei confronti.
Anche se si rischia la vita per esprimere i propri ammonimenti, se le autorità dello stato non li ascoltano, non c’è dubbio che il paese sia destinato alla distruzione. Tuttavia, se, anche dopo che qualcuno ha messo in luce i loro errori, i governanti si rifiutano di seguirne il consiglio, allora non è colpa di chi ammonisce. Con questo pensiero in mente ho lasciato Kamakura nella provincia di Sagami il dodicesimo giorno del quinto mese dell’undicesimo anno di Bun’ei [1274]. Dal diciassettesimo giorno del sesto mese dello stesso anno risiedo qui, nelle profondità delle montagne, e ormai da cinque anni non mi avventuro per più di cento metri oltre il cancello.
Io sono originario della provincia di Awa. L’amministratore di quella provincia, Tojo Saemon-no-jo Kagenobu, dietro le pressioni del prete laico del Gokuraku-ji, del prete laico Toji Saemon25 e di tutti i credenti Nembutsu, di tanto in tanto intentava qualche causa contro di me. Alla fine scatenò le ostilità nei miei confronti26 e così i sostenitori del prete laico del Gokuraku-ji riuscirono a distorcere la legge per farmi interdire dalla zona sotto la giurisdizione di Tojo Kagenobu e impedirmi l’accesso. Quindi, sono passati molti anni dall’ultima volta che ho potuto visitare le tombe di mio padre e di mia madre.
Inoltre per due volte sono incorso nella disapprovazione dei governanti del paese. La seconda volta fu annunciato ufficialmente che sarei stato esiliato in una remota località, anche se in privato circolò voce che dovevo essere decapitato. Il dodicesimo giorno del nono mese, all’ora del bue [dall’una alle tre], fui condotto a Tatsunokuchi, presso Kamakura, per esser decapitato. In quel momento, per una qualche ragione, un oggetto simile alla luna giunse nell’aria dalla direzione di Enoshima e aleggiò sul capo del boia che ne fu così terrorizzato da non poter portare a termine il suo compito; poi ci furono vari sviluppi e così quella notte sfuggii alla condanna a morte.
In seguito, dopo essere stato esiliato nella provincia di Sado, ci fu un altro tentavo di decapitarmi, ma, come ho detto prima, scoppiò un dissidio fra varie fazioni a Kamakura e fu inviato in tutta fretta un messaggero a Sado; così non mi decapitarono. Alla fine fui perdonato e adesso vivo solo fra le montagne.
Quando ero nella provincia di Sado vivevo in un cimitero chiamato Tsukahara, un luogo fra i prati e le montagne, lontano da qualsiasi abitazione umana. La mia dimora era una piccola capanna che si reggeva su quattro pali. Dalle assi del tetto si intravedeva il cielo e i muri cadevano a pezzi. La pioggia entrava come se il tetto non ci fosse affatto e all’interno si ammucchiava la neve. Non c’erano né effigi del Budda, né alcuna traccia di stuoie o altre coperture del pavimento. Ma io vi collocai l’effigie del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, che avevo con me da tempo e, con il Sutra del Loto in mano, un mantello di paglia addosso e un cappello di paglia in testa, cercai di viverci come potevo. Passarono quattro anni, durante i quali nessuno venne a visitarmi o a portarmi cibo. Ero come Su Wu, prigioniero per diciannove anni nella terra dei barbari del nord, che indossava un mantello di paglia e mangiava neve.
Adesso sono cinque anni che vivo in questa dimora montuosa. Tutt’intorno, come alti paraventi, sono disposte quattro montagne. A nord si erge il monte Minobu, simile a una scala a pioli che arriva fino al cielo. A sud c’è il Takatori che sembra il monte Kukkutapada27; a ovest lo Shichimen, simile alla Barriera di ferro28 e a est il monte Tenshi, che è il principe ereditario del monte Fuji, l’imperatore.
A nord c’è un grande fiume di nome Haya, rapido come una freccia. A sud c’è il fiume Hakiri capace di far rotolare enormi massi come se fossero foglie d’albero. A est il fiume Fuji scorre da nord a sud, impetuoso come l’affondo di mille alabarde. Lungo il suo corso, la cascata di Minobu è come una striscia di stoffa bianca che penzola dal cielo.
In mezzo a queste montagne e fiumi c’è un angusto appezzamento di terreno, dove sorge la dimora di Nichiren. È un luogo così immerso fra le montagne che anche a mezzogiorno è impossibile vedere il sole e di notte non c’è una luna alla quale comporre poesie. Sulle vette schiamazzano scimmie simili a quelle delle gole di Pa29 in Cina, e nelle valli lo scroscio battente del fiume sembra un rullo di tamburi. Il terreno è ricoperto da grosse pietre e le montagne sono fatte soltanto di roccia e ghiaia.
I governanti del paese mi odiano e, fra la gente comune, nessuno viene a visitarmi. In inverno i sentieri sono ostruiti dalla neve e in estate sono ricoperti dalla vegetazione. In lontananza si ode il triste bramito del cervo e le cicale strepitano nei miei orecchi. Nessuno viene a visitarmi ed è difficile mantenermi in vita. Non ho indumenti per coprirmi e quindi puoi immaginare quanto sia stata benvenuta la veste che mi hai donato.
Anche chi mi ha conosciuto o ha sentito parlare di me in passato ha smesso di avere compassione, e i discepoli e i braccianti che fin adesso erano con me mi hanno tutti abbandonato. Quindi è stupefacente che una persona come te, che non ho mai visto e di cui non ho mai nemmeno sentito parlare, mi dimostri una simile gentilezza! Non posso fare a meno di chiedermi se tu sia la reincarnazione dei miei genitori defunti o forse una manifestazione delle dieci fanciulle demoni!
Nel regno dell’imperatore Tai-tsung della dinastia T’ang viveva un capo militare di nome Li Ju-hsien, figlio di un uomo chiamato Generale Cespuglio che Rotola30. L’imperatore ordinò a Li Ju-hsien di attaccare il paese dei barbari del nord, ma il suo esercito, formato da numerose centinaia di migliaia di soldati a cavallo, fu sopraffatto dai barbari. Li Ju-hsien fu preso prigioniero e trascorse i successivi quarant’anni nella terra dei barbari. In quel periodo si sposò ed ebbe dei figli. Secondo le tradizioni barbare, un prigioniero catturato vivo era costretto a indossare indumenti di pelle e una cintura di feltro. Solo il primo giorno del primo mese gli era concesso indossare veste e capello cinesi. Così una volta l’anno Li Ju-hsien ricordava la sua patria e, pieno di nostalgia, piangeva amaramente.
In seguito, quando l’esercito dei T’ang avanzò e le truppe attaccarono il paese dei barbari, Li colse l’opportunità per fuggire di soppiatto, abbandonando moglie e figli fra i barbari. Ma le truppe T’ang lo fecero prigioniero, come se fosse uno dei barbari, ed erano sul punto di decapitarlo.
Alla fine fu portato davanti al sovrano, l’imperatore Te-tsung, ma questi si rifiutò di ascoltare le sue suppliche accorate e lo condannò all’esilio nella regione meridionale di Wu e Yüeh.
Li Ju-hsien lamentandosi del suo destino diceva: «Non mi hanno permesso di proseguire il viaggio verso Liang-yüan, la mia terra natale, né di congedarmi e raggiungere mia moglie e i miei figli nel paese dei barbari». Egli aveva abbandonato moglie e figli tra i barbari, non poteva rivedere la sua terra natale in Cina, ed era stato esiliato in un luogo completamente diverso. Dopo aver dato prova della massima lealtà, era finito a lamentarsi in quel modo.
Io, Nichiren, ho fatto lo stesso. Ho parlato perché pensavo di poter aiutare il mio paese natale, il Giappone. Ma adesso sono costretto a vivere lontano dalla provincia in cui sono nato e da quella in cui ero esiliato. Ora, da qualche tempo, vivo appartato nelle profondità delle montagne e la mia sorte non è dissimile da quella di Li Ju-hsien. Non ho moglie né famiglia, sia nella mia terra natale sia in quella dove fui esiliato, e per questo motivo non ho da lamentarmi come lui. Ma non posso fare a meno di pensare alla tomba dei miei genitori e di chiedermi come stiano le persone che conoscevo.
Tuttavia una cosa mi rende felice. I guerrieri, fedeli al loro addestramento, furono i primi ad attraversare i fiumi Uji e Seta31 per servire il loro signore e, anche se molti sono morti, i loro nomi saranno ricordati per sempre nelle epoche a venire.
Per la causa del Sutra del Loto io sono stato ripetutamente scacciato dalla mia casa, mi hanno attaccato con le armi e mi hanno ferito alla mano. I miei discepoli sono stati uccisi, per due volte mi hanno esiliato in una regione lontana e una volta sono stato quasi decapitato. Ho sopportato tutto questo unicamente per il bene del Sutra del Loto.
Nel Sutra del Loto il Budda afferma che circa duemiladuecento e più anni dopo la sua morte, nell’ultimo periodo di cinquecento anni, quando questo sutra sarà propagato in tutta la terra di Jambudvipa, il demone celeste prenderà possesso delle persone e cercherà di impedire la diffusione del sutra. Allora coloro che hanno fede in esso saranno maledetti e attaccati, scacciati da un posto all’altro e forse anche uccisi. A quel tempo chi è all’avanguardia riporterà un beneficio grande come se avesse fatto offerte ai Budda delle tre esistenze e delle dieci direzioni. E il Budda promise anche che avrebbe ceduto a queste persone i benefici che derivavano dalle sue pratiche ascetiche e dalle prove che egli stesso aveva sopportato (Ho riassunto il significato dei passi del sutra).
Nel passato c’era un bodhisattva di nome Mai Sprezzante che si adoperò per propagare il Sutra del Loto. Monaci e monache rinomati per la loro sapienza e monaci eminenti che osservavano i duecentocinquanta precetti si radunarono e cospirarono con uomini e donne laici per insultare e malmenare il Bodhisattva Mai Sprezzante. Ma, poiché egli non dava segni che la sua determinazione si fosse affievolita e continuava a diffondere gli insegnamenti, alla fine divenne un Budda. La persona che una volta era il Bodhisattva Mai Sprezzante adesso è il Budda Shakyamuni.
Gli eminenti monaci e gli altri che lo invidiavano o lo attaccavano caddero tutti nell’inferno Avichi per un periodo di mille kalpa. Quelle persone avevano recitato il Sutra della Meditazione, il Sutra di Amida e numerose migliaia di altri sutra; recitavano il nome del Budda Amida e pronunciavano i nomi di tutti gli altri Budda, e leggevano giorno e notte il Sutra del Loto. Ma, poiché si dimostrarono nemici del vero devoto del Sutra del Loto, le recitazioni di tale sutra, del nome del Budda Amida e l’osservanza dei precetti non li aiutarono, ed essi caddero nell’inferno Avichi per un periodo di mille kalpa. Dapprima questi monaci e monache mostrarono odio nei confronti del Bodhisattva Mai Sprezzante, ma in seguito i loro sentimenti cambiarono e alla fine lo servirono fedelmente come un umile servo col proprio padrone, e tuttavia non riuscirono a sfuggire all’inferno di incessante sofferenza.
Oggi il popolo del Giappone mi odia pressoché allo stesso modo. Eppure per certi versi il mio caso è differente da quello del Bodhisattva Mai Sprezzante. Egli fu insultato e percosso, ma non condannato all’esilio dai governanti del paese. Egli fu attaccato con bastoni e verghe, con tegole e pietre, ma non fu mai ferito né rischiò di esser decapitato. Io sono stato diffamato senza sosta, attaccato con bastoni e verghe per più di vent’anni, ferito, condannato all’esilio e minacciato di essere decapitato. I miei discepoli sono stati privati dei loro feudi e gettati in prigione, esiliati in luoghi lontani, scacciati dai loro villaggi o spogliati dei loro campi. Sono stati trattati più severamente dei predoni notturni, dei ladri, dei pirati, dei banditi di montagna e dei cospiratori. E tutto questo a causa delle accuse dei preti eminenti delle scuole della Vera parola, Nembutsu e Zen.
Gli errori commessi da quelle persone sono più pesanti della terra. Per questo la terra si scuote e trema come una barca sul grande mare, sballottata da un forte vento. Le ottantaquattromila stelle del firmamento32 ardono d’ira e, giorno e notte, in cielo si manifestano strani fenomeni. Inoltre il sole e la luna si comportano in maniera anomala.
Sono già trascorsi 2.227 anni dalla morte del Budda. In India il re Mihirakula bruciò i templi delle cinque regioni dell’India e decapitò i monaci in sedici grandi stati. In Cina l’imperatore Wu-tsung distrusse i templi del Buddismo cinese e frantumò le statue del Budda, mentre in Giappone Moriya accese un fuoco di carbone e fuse la statua di bronzo dorato del Budda Shakyamuni, poi attaccò e tormentò preti e monaci costringendoli a fare ritorno alla vita secolare. Eppure quando questi eventi si verificarono in India, Cina e Giappone non ci furono le comete o i grandi terremoti33 che vediamo adesso.
La gente di oggi è cento, mille, diecimila volte più malvagia di quegli uomini del passato. Allora si trattava di un solo sovrano animato da intenti malvagi, e i suoi ministri e sottoposti non condividevano il suo anelito di distruzione. Inoltre le azioni distruttive dei quei sovrani erano dirette a Budda o sutra provvisori, e i preti che attaccavano non erano devoti del Sutra del Loto.
Ma adesso c’è una grande animosità contro il Sutra del Loto, non solo nel sovrano, ma nel cuore dei sapienti di tutto il paese e nella massa della popolazione.
È come una donna posseduta dalla gelosia. Un grande fuoco le arde nel petto e così tutto il suo corpo diventa rosso. Le si rizzano i peli, l’intero corpo freme e le fiamme le salgono fino al volto che diventa scarlatto. I suoi occhi sono rotondi come quelli di un gatto che sta per ghermire un topo, e le sue mani tremano come foglie di quercia al vento. Quando i passanti la scorgono, non sembra diversa da un demone.
I sovrani del Giappone e i vari preti e monache sono simili a questa donna gelosa. Io, Nichiren, ho dichiarato che il Nembutsu, l’invocazione del nome di Amida sulla quale questi sovrani e preti si basano, è una pratica che condanna all’inferno di incessante sofferenza. Ho detto che la Vera parola è una dottrina che rovinerà il paese e che l’osservanza dei precetti è l’opera del demone celeste. Quando essi odono le mie dichiarazioni contano i grani del loro juzu34, digrignano i denti per la rabbia e suonano le loro campanelle scuotendo la testa inferociti. Anche se esteriormente osservano i precetti, in cuor loro covano intenti malvagi.
Così il Santo Ryokan del Gokuraku-ji, quel “Budda vivente”, con le sue petizioni sprona i funzionari del governo a muovere accuse nei miei confronti, il Santo Doryu del Kencho-ji sale sulla sua portantina e va a lamentarsi dai magistrati, e le monache laiche che osservano i cinquecento precetti presentano offerte e documenti d’accusa. Tutto questo accade perché essi leggono il Sutra del Loto, ma in realtà non lo leggono, ne odono le parole, ma in realtà non le odono, sono ubriachi del dolce sakè invecchiato delle asserzioni di Shan-tao e Honen, che “neanche una persona su mille” può essere salvata, o di quelle di Kobo e Jikaku, che le dottrine diverse da quelle della Vera parola sono tutte “teorie puerili”35, o di quelle di Bodhidharma, che lo Zen rappresenta una “trasmissione separata al di fuori dei sutra”. Questo sakè li ha fatti uscire di senno.
Leggere il passo del Sutra del Loto che dice: «Fra questi il Sutra del Loto è il supremo»36, eppure dichiarare che il Sutra di Mahavairochana gli è superiore, asserire che la scuola Zen rappresenta il più elevato insegnamento del Budda, che la scuola dei Precetti è degna di vero onore, che il Nembutsu è l’unica pratica veramente adatta alle nostre capacità; cosa sono questi, se non i deliri di persone ubriache di sakè? Esse guardano le stelle e affermano che sono superiori alla luna, guardano una pietra e dicono che è più preziosa dell’oro, guardano a est e lo chiamano ovest, guardano il cielo e lo chiamano terra. E sulla base di simili idiozie si arrabbiano con chi dichiara che la luna e l’oro sono superiori alle stelle e alle pietre, con chi chiama est l’est e cielo il cielo. Dobbiamo dar loro retta unicamente perché sono tanti? Non sono forse soltanto un grosso branco di idioti? Com’è triste pensare che tutti questi uomini e donne incapaci, che si basano su simili idee illusorie, sono destinati a cadere nell’inferno.
Nel Sutra del Nirvana il Budda ci dice che, nell’Ultimo giorno della Legge, coloro che offendono il Sutra del Loto e cadono nell’inferno saranno più numerosi dei granelli di polvere della terra, mentre quelli che credono in esso e conseguono la Buddità saranno meno del terriccio che può stare su un’unghia. Dovremmo riflettere accuratamente su questa asserzione. Si possono forse paragonare gli abitanti del Giappone alla quantità di terriccio che può stare su un’unghia? Si può forse paragonare quest’uomo, Nichiren, ai granelli di polvere di tutte le terre delle dieci direzioni?
Ma, lasciando perdere questo, mi chiedo quale karma da un’esistenza passata ti ha portato a inviarmi questa veste in dono. Vuoi forse essere annoverata fra coloro che sono “meno del terriccio che può stare su un’unghia”?
Il Sutra del Nirvana ci dice di immaginare un ago conficcato nella terra e un forte vento che soffia. Poi, in tali circostanze, immaginiamo di far scendere un filo dal cielo di Brahma e cercare di farlo passare nella cruna dell’ago. È più facile realizzare quest’impresa, si dice, che incontrare un devoto del Sutra del Loto nell’ultima epoca37.
Il Sutra del Loto parla anche di una tartaruga che vive sul fondo del grande mare. Una volta ogni tremila anni la tartaruga sale in superficie e, se incontra un tronco di sandalo galleggiante che contenga una cavità, vi potrà riposare. Ma la tartaruga ha solo un occhio, e anche quello è strabico, così che ciò che è a ovest le sembra a est e ciò che è a est le sembra a ovest. Questa similitudine indica quanto è difficile per gli uomini e le donne nati in questo mondo malvagio dell’ultima epoca adattarsi alla “cavità” del Sutra del Loto e di Nam-myoho-renge-kyo.38
Alla luce di queste difficoltà mi chiedo che legame karmico dal passato ti ha abbia ispirato la determinazione di comunicare con una persona come me?
Se esaminiamo il Sutra del Loto, vediamo che, in casi come questo, esso afferma che il Budda Shakyamuni entra nella persona e ispira questa determinazione nel suo cuore. È come qualcuno che, senza pensarci, beve sakè e si ubriaca. Dopo che si è ubriacato, nel suo cuore sorge un desiderio inaspettato ed è ispirato a donare i suoi beni agli altri. Anche se quella persona per tutta la sua vita è stata avara e avida, ed è destinata a rinascere nel regno degli spiriti affamati, per effetto del sakè è in grado di entrare nel mondo di bodhisattva.
Se si pone un gioiello nell’acqua torbida39, questa tornerà limpida, e se una persona guarda la luna, il suo cuore si riempirà di nostalgia. Un dipinto che raffigura un demone può spaventarci, anche se sappiamo che non è una cosa viva, e quello di una giovane donna può far ingelosire una moglie, anche se questa sa che un’immagine non potrà rubarle il marito. Se un materasso è rivestito di broccato con un motivo di serpenti, nessuno vorrà giacervi e, se si è accaldati, una tiepida brezza risulterà spiacevole. Così è fatto il cuore degli uomini.
Così, quando una persona come te si sente attratta verso il Sutra del Loto, suppongo che, poiché sei una donna, la figlia del re drago sia entrata in te.
Veniamo adesso a Jiro Hyoe-no-jo di Owari, che ho avuto occasione di incontrare in passato. A differenza di molti altri, nel diffondere i miei insegnamenti, io, Nichiren, sono venuto in contatto con un gran numero di persone, ma meno di una su mille mi ha colpito come veramente ammirevole. Jiro Hyoe non seguiva i miei insegnamenti e tuttavia non aveva un comportamento ostile, e soprattutto era pieno di compassione e buona volontà verso tutte le persone. Naturalmente non posso dire quali fossero i suoi sentimenti, ma, quando lo ho incontrato, mi ha colpito per la sua rettitudine.
Sua moglie crede nel Sutra del Loto e perciò, anche se egli non era convinto che fosse il vero sutra, mi pare improbabile che fosse del tutto contrario. Questo è un motivo di speranza. D’altro canto, egli prestava fede al Nembutsu e ai suoi credenti che disprezzano il Sutra del Loto, e probabilmente egli stesso era un credente Nembutsu, quindi non so cosa lo attenda nella prossima vita.
È come il caso di coloro che prestano servizio nel palazzo del sovrano svolgendo diligentemente il proprio lavoro. Alcuni sono ricompensati dal favore del re, altri no. Ma, se uno di loro commette anche solo il minimo errore, sicuramente sarà punito. È lo stesso con il Sutra del Loto. Per quanto fervidamente una persona possa credere in esso, se, consapevolmente o no, intrattiene rapporti con i nemici del Sutra del Loto, finirà senza dubbio nell’inferno di incessante sofferenza.
Ma, qualsiasi cosa sia accaduta a Jiro Hyoe, non posso fare a meno di provare pietà pensando al dolore che sta provando sua moglie. Deve sentirsi come una pianta di glicine in piena fioritura attorcigliata intorno a un pino che, costernata, si accorge che improvvisamente il pino è caduto, o come l’edera su una staccionata dopo che questa è crollata.
Quando entra in casa non trova alcun marito; è come se la casa fosse distrutta e avesse perso il suo pilastro. Vengono i visitatori, ma non c’è nessuno che si faccia avanti per accoglierli. Nel buio della notte la sua stanza da letto è tetra e solitaria. Quando fa visita alla tomba vede la lapide, ma non ode alcuna voce familiare.
E immaginando il defunto marito si domanda chi lo stia accompagnando oltre le montagne della morte e il fiume dei tre attraversamenti, o se stia piangendo mentre viaggia completamente solo. Egli si starà forse chiedendo perché la moglie e i figli che sono rimasti lo hanno mandato tutto solo in questo viaggio? E, addolorato, si lamenterà che non hanno tenuto fede alla loro promessa?
Mentre la notte d’autunno svanisce e il suono del vento d’inverno si fa udire, il dolore della moglie deve essere più pesante che mai. Nam-myoho-renge-kyo, Nam-myoho-renge-kyo.
Nichiren
Il sesto giorno del nono mese del primo anno di Koan [1278], segno ciclico tsuchinoe-tora
Alla monaca laica Myoho
Cenni Storici
Questa lettera è una risposta di Nichiren Daishonin alla monaca laica Myoho che gli aveva inviato una veste sfoderata, dono della moglie di suo fratello maggiore, e gli aveva comunicato la morte di Jiro Hyoe. Essa è datata il sesto giorno del nono mese del 1278. Si ritiene che la monaca laica vivesse a Okamiya nella provincia di Suruga. Suo marito era morto a causa di una malattia il settimo mese dello stesso anno.
Il Daishonin comincia esprimendo il suo apprezzamento per l’offerta ricevuta e conclude esprimendo le sue condoglianze per la moglie di Jiro Hyoe. In merito alla veste che gli è stata offerta, egli cita il racconto buddista del monaco Shanavasa, il terzo dei ventitré successori di Shakyamuni, il quale in un’esistenza passata aveva offerto la propria veste a un saggio malato. Dopo aver descritto l’entità del profondo beneficio derivante da tale offerta, il Daishonin spiega che l’avere offerto una veste a lui, il devoto del Sutra del Loto, sarà fonte di un beneficio ancora maggiore.
Poi, il Daishonin ricorda alcuni importanti eventi della sua vita dedicata alla propagazione del Sutra del Loto, a cominciare dalla decisione di comprendere le dottrine fondamentali delle varie scuole buddiste. Egli si era reso conto che, anche se le persone credevano che qualsiasi insegnamento buddista potesse salvarle dalle sofferenze di nascita e morte, «in realtà, invece, se una persona si accosta agli insegnamenti buddisti e non li pratica correttamente, è assai probabile che cada nel grande abisso dell’offesa alla Legge». Anche se ignare delle conseguenze negative risultanti da tale offesa, esse le subiranno comunque.
Il Daishonin poi si concentra sull’origine dell’offesa alla Legge, ovvero il grande sostegno e il rispetto tributato ai capi delle scuole della Pura terra, della Vera parola, e della scuola Zen. Poiché queste scuole denigrano il Sutra del Loto, che rappresenta l’illuminazione del Budda Shakyamuni, la fede nei loro insegnamenti ha fatto emergere le tre calamità e i sette disastri. Il Daishonin ricorda che le preghiere dei preti della Vera parola, che nutrono opinioni errate, portarono l’ex imperatore di Oki a essere esiliato, ed esprime la sua convinzione che le stesse preghiere ai suoi tempi porteranno alla distruzione del Giappone da parte di un paese confinante. È per questo motivo che egli sottopose una petizione al prete laico del Saimyo-ji, Hojo Tokiyori, intitolata Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese. Poiché i suoi ripetuti ammonimenti non furono ascoltati, egli lasciò Kamakura e si ritirò a Minobu.
Il Daishonin descrive le dure condizioni di vita a Minobu, da dove scrive, oltre al fatto di trovarsi separato dalla sua provincia natale e dal luogo del suo esilio, dove aveva acquisito dei seguaci.
Egli si paragona poi al Bodhisattva Mai Sprezzante, il quale propagava anch’egli il Sutra del Loto. Mentre il Daishonin fu ferito, condannato all’esilio, e quasi messo a morte, il bodhisattva subì semplicemente insulti e percosse. Le persone che lo hanno perseguitato, afferma il Daishonin, sono condannate all’inferno di incessante sofferenza. Per contro, l’aver incontrato il devoto del Sutra del Loto e l’avergli fatto offerte sono causa di grandi benefici.
Infine, in merito alla morte di Jiro Hyoe, che a quanto pare era un credente della Pura terra, il Daishonin esprime il suo dispiacere e la sua solidarietà nei confronti della moglie, e cerca di offrirle parole di conforto.