345. La battaglia di Koan
Luogo sconosciuto, 1281. Indirizzata a Toki Jonin
La tua lettera datata quattordicesimo giorno di questo mese è arrivata il diciassettesimo giorno dello stesso mese. E la tua lettera del quindicesimo giorno del settimo mese intercalare è arrivata il ventesimo giorno di quel mese.
Nonostante abbia ricevuto numerose altre tue lettere, non solo per via degli acciacchi della vecchiaia, ma anche di una persistente mancanza di appetito, non ero ancora riuscito a risponderti. Me ne vergogno profondamente.
Ciò che mi preoccupa di più è quello che hai scritto nella lettera del settimo mese intercalare: «Il forte vento che ha soffiato a Chinzei ricoprendo ogni insenatura e isola con i rottami delle navi distrutte1 è stato attribuito all’opera dell’Onorevole Shien2 di Kyoto. Come può esserci qualcosa di vero in questo?».
Si tratta di una questione molto seria, in particolare per i miei seguaci. E parlando in generale, per il paese del Giappone è un disastro. Perciò cercherò di farmi forza nonostante la malattia e spiegare qualcosa di questa faccenda. Da tempo so che, con l’unico intento di sbarazzarsi di me, i miei avversari stanno inventando falsità. La ragione è che le gravi colpe degli esponenti delle sette scuole e delle otto scuole del Giappone3, come quella della Vera parola, non sono certo cominciate ieri. Tuttavia voglio narrare un episodio che chiarisce l’intera faccenda.
Durante l’era Jokyu, desiderando sbarazzarsi di Yoshitoki, l’ex imperatore di Oki ordinò al capo dei preti del tempio sul monte Hiei e ai preti del To-ji, dell’Omuro, dei sette maggiori templi di Nara e del tempio Onjo, di offrire preghiere allo scopo di sottomettere i nemici della corte. E il quindicesimo giorno del quinto mese, nel terzo anno della stessa era, egli fece uccidere, presso Rokuhara, Iga Taro Hogan Mitsusue, il magistrato del signore di Kamakura4.
Così, il diciannovesimo e il ventesimo giorno dello stesso mese, Kamakura precipitò nel caos; ma, il ventunesimo giorno, 190.000 guerrieri furono inviati a Kyoto attraverso le strade del Tosando, del Tokaido e dell’Hokuriku. La notte del tredicesimo giorno del sesto mese, tra l’ora del cane e quella del cinghiale [circa alle ventuno], il cielo limpido improvvisamente si rannuvolò, ci fu un rumore di tuono e lampi di fulmini. I tuoni rimbombavano con fragore sulla testa dei guerrieri e cadde una pioggia torrenziale, fitta come un bosco di bambù.
Quei 190.000 guerrieri avevano marciato per un lungo tratto di strada, le scorte di riso erano esaurite a causa della guerra, i cavalli erano sfiniti e tutti gli abitanti delle zone circostanti si erano nascosti. Sotto la pioggia battente i loro elmi erano diventati morbidi come cotone.
Quando i guerrieri scesero lungo l’Uji e Seta5, il fiume, di solito largo tre o quattro cho, si era ingrossato fino ad occupare sei, sette, dieci cho. In più, enormi massi dal diametro di dieci o venti piedi galleggiavano come foglie cadute, ed enormi tronchi lunghi cinquanta o sessanta piedi ostruivano in più punti la corrente.
Non fu certo come quando, tanto tempo fa, Toshitsuna e Takatsuna6 attraversarono il fiume. Quando i soldati lo videro, pare che tutti avvertirono un brivido di paura. Tuttavia pensarono che, se avessero aspettato un altro giorno ad attraversare il fiume, la gente si sarebbe schierata con l’esercito nemico. Così costruirono zattere galleggianti usando i loro cavalli e cercarono di attraversare montando su quelle. Impazienti di passare, cento, mille, diecimila guerrieri gridavano tutti: «Ce la farò, ce la farò!», ma anche se riuscivano a percorrere uno, due o tre cho, nemmeno uno riuscì a raggiungere la riva opposta. Non solo le armature con i loro lacci rossi e scarlatti, ma anche archi, frecce, spade ed elmi tempestati di stelle d’argento galleggiavano sulla corrente, come le foglie d’acero sui fiumi Yoshino e Tatsuta7 nel nono e nel decimo mese.
Quando i preti eminenti del Monte Hiei, del To-ji, dei sette maggiori templi di Nara, dell’Onjo-ji e degli altri templi seppero la notizia, esultarono, convinti che ciò fosse il risultato dei loro rituali esoterici e delle grandi cerimonie degli insegnamenti della Vera parola. Presso la sala Shishinden della corte imperiale, il capo dei preti del tempio sul monte Hiei e i preti del To-ji e dell’Omuro continuarono energicamente a eseguire la cerimonia dei cinque altari e le altre quindici cerimonie8, e la gioia dell’ex imperatore non ebbe limiti. Con le sue insegne imperiali piantate al suolo davanti a lui, accarezzò con le mani i piedi di quei grandi preti. Vedendo ciò, anche i ministri e i nobili scesero precipitosamente dai loro posti e, prostrandosi al suolo, resero onore a quei preti eminenti.
I nobili di corte e gli ufficiali schierati per la battaglia presso l’Uji e Seta agitarono in alto gli elmi e urlarono a gran voce: «Voi, barbari seguaci di Yoshitoki! Ascoltate bene! C’è mai stato qualcuno dai tempi antichi fino ad ora che si è comportato da nemico dell’autorità del sovrano e dopo ha continuato a vivere comodo e sicuro? Al cane che abbaiò al leone, furono lacerate le viscere. Quando un asura scagliò le sue frecce contro il sole e la luna, le frecce volarono indietro perforandogli gli occhi.
«Ma lasciamo perdere per il momento questi esempi che riguardano luoghi remoti. Qui in Giappone, negli ottanta e più regni dei sovrani umani dalla fondazione del nostro paese, venti e più uomini, fra cui il principe Oyama e Oishi no Omaru, si sono rivoltati contro l’autorità del sovrano. Ma nemmeno uno di loro è mai riuscito a realizzare i suoi scopi. Le loro teste furono tutte esposte sui cancelli della prigione e i loro corpi rimasero a marcire sulle montagne e nei campi. I guerrieri del Kanto, membri dei clan Minamoto e Taira o di altre eminenti famiglie, sono venuti meno ai loro doveri di fedeltà verso i sovrani riveriti dai loro antenati, e adesso seguono gli ordini di Yoshitoki, un suddito della provincia di Izu. Per questo accadono disastri come questo.
«Chi si rivolta contro l’autorità di un sovrano e segue gli ordini di un suddito è come un leone che, inseguendo una volpe, corre ora a est e ora a ovest, ora a sud e ora a nord. Cosa intendete fare riguardo a un simile disonore in questa vita? Sbrigatevi, sbrigatevi! Toglietevi gli elmi, posate arco e frecce e arrendetevi, arrendetevi!».
Ma, a quel punto cosa accadde? Fra l’ora della scimmia e quella del gallo [circa alle diciassette] i guerrieri del Kanto irruppero, attraversando il fiume, e attaccarono trionfanti. Quando fecero il loro ingresso a Kyoto, in giro non si vedeva nemmeno un membro dell’esercito imperiale; erano tutti fuggiti e si erano nascosti in montagna, nelle foreste. I vincitori del Kanto esiliarono i quattro sovrani in quattro isole diverse9.
E gli eminenti preti, i maestri, i reverendi preti, furono privati dei loro templi o subirono varie umiliazioni. E pare che ancora oggi, sebbene siano trascorsi sessant’anni, il disonore non sia stato cancellato.
Ciò nonostante, adesso ai discepoli dei preti che eseguirono quelle cerimonie è stato nuovamente ordinato di offrire preghiere. E, anche se è stato soltanto il mare grosso causato dai venti autunnali a danneggiare le navi nemiche, essi insistono a dire che è merito loro se il grande generale mongolo è stato catturato vivo, e proclamano che le loro preghiere hanno ottenuto risposta.
Allora, se è così, prova a chiedergli se la testa del grande re mongolo è già arrivata. Qualsiasi cosa dicano riguardo ad altri argomenti, tu non rispondere. Pensavo che fosse meglio che tu sapessi, perciò ti ho dato questo quadro generale delle cose in modo che tu possa essere consapevole della situazione. Devi anche portare a conoscenza della questione gli altri membri del nostro gruppo.
E per quanto riguarda Shiiji Shiro10, capisco.
Dato che oramai ho già sessant’anni, sento che mi piacerebbe ripagare il debito di gratitudine verso il Gran Maestro T’ien-t’ai. Così ho usato la tua offerta di denaro per la riparazione e la ricostruzione dell’edificio del nostro tempio, un po’ malandato.
Quando ti recherai nella pura terra del Picco dell’Aquila, puoi dire che con i tuoi quattro kan di monete è stato costruito il più importante palazzo del Loto di tutto il paese di Jambudvipa.
Con profondo rispetto,
Nichiren
Il ventiduesimo giorno del decimo mese
Consegnato in risposta al prete laico Toki
Cenni Storici
Nichiren Daishonin scrisse questa lettera il ventiduesimo giorno del decimo mese del 1281 a Toki Jonin. Egli inizia scusandosi per non avere risposto alle precedenti lettere di Toki a causa della malattia e dello scarso appetito. Poi affronta la domanda postagli da Toki nella sua lettera del settimo mese intercalare. Toki chiede spiegazioni in merito alle preghiere esoteriche del prete Shien di Kyoto, che si riteneva avessero fatto allontanare le navi mongole dalle acque giapponesi durante la battaglia di Koan avvenuta lo stesso anno. Il Daishonin afferma che si tratta di una delle tante bugie dei suoi nemici per sbarazzarsi di lui, cosa di cui egli è da molto tempo consapevole. Poi, per chiarire il suo insegnamento secondo il quale le preghiere della Vera parola conducono il paese alla rovina, il Daishonin descrive ciò che avvenne quando ci fu il tumulto di Jokyu nel 1221. La corte imperiale aveva ordinato a preti eminenti di pregare per la sconfitta di Hojo Yoshitoki, il comandante di Kamakura, ma alla fine fu proprio la corte imperiale a subire una devastante sconfitta. Analogamente, afferma il Daishonin, non è possibile che oggi siano state le preghiere dei preti della Vera parola a fare in modo che le navi nemiche subissero dei danni, come invece essi affermano. Tali danni, secondo il Daishonin, sono stati provocati dal vento autunnale.