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98. Le offerte per gli antenati defunti

RSND, VOLUME I

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Luogo sconosciuto, Data sconosciuta. Indirizzata a Jibu-bo, nonna di

Ho collocato davanti al Budda il sacco di riso, il riso tostato, i meloni, le melanzane e le altre offerte che mi hai inviato.

    Per quanto riguarda le origini del servizio funebre per gli antenati defunti1, tra i discepoli del Budda il Venerabile Maud­galyayana eccelleva nei poteri sovrannaturali come Shariputra eccelleva in saggezza. Questi due erano come il sole e la luna affiancati sul monte Sumeru o come i ministri della sinistra e della destra che assistono un grande sovrano.

      Il padre di Maudgalyayana si chiamava Kissen Shishi e la madre Shodai-nyo2. Il Venerabile Maudgalyayana salvò la madre dalla via degli spiriti affamati in cui era precipitata perché colpevole di avidità e avarizia, e da ciò ebbe origine la tradizione di questa cerimonia.

        Le cose andarono così: sebbene la madre di Maudgalyayana stesse soffrendo nel regno degli spiriti affamati, Maud­galyayana, che era solo un essere comune, non aveva modo di saperlo. Da bambino era stato accolto nella casa di un maestro brahmano dove aveva studiato approfonditamente tutti gli scritti sacri del Brahma­nesimo: i quattro Veda e le diciotto principali scritture. A quel tempo però non sapeva ancora dove sua madre fosse rinata.

          In seguito, all’età di tredici anni, egli e Shariputra visitarono insieme il Budda Shakyamuni e divennero suoi discepoli. Così Maudgalyayana fu in grado di liberarsi delle illusioni del pensiero e diventare un santo del primo stadio3 e poi di sradicare le illusioni del desiderio e diventare un arhat acquisendo le tre facoltà conoscitive e i sei poteri sovrannaturali. Avendo aperto l’occhio divino, poteva vedere un intero sistema maggiore di mondi come se fosse riflesso in uno specchio limpido. La sua vista penetrava la terra e poteva vedere i tre cattivi sentieri, così come noi, guardando attraverso una lastra di ghiaccio quando il sole del mattino la illumina, possiamo scorgere i pesci sottostanti. E mentre guardava in basso, egli vide sua madre nel regno degli spiriti affamati.

            Ella non aveva niente da bere né da mangiare. La sua pelle era simile a quella di un fagiano dorato a cui abbiano strappato le piume, le sue ossa erano come sassi rotondi collocati uno di fianco all’altro. La testa era grossa come un pallone, il collo sottile come un filo e lo stomaco dilatato come il grande mare. Con la bocca aperta e le mani giunte a elemosinare qualcosa, assomigliava a una sanguisuga affamata che ha sentito l’odore di un essere umano. Nessuna similitudine potrebbe descrivere il suo aspetto famelico e la sua immagine mentre guardava piangendo il figlio avuto nella precedente esistenza. Possiamo immaginare come Maudgalyayana si sia sentito stringere il cuore a una simile vista.

              Il prete Shunkan4, amministratore del tempio Hossho, venne esiliato sull’isola di Iogashima. Vagava nudo e con i capelli sciolti, smagrito e smunto, lungo la riva del mare dove raccoglieva pezzi d’alga e se li avvolgeva intorno ai lombi e, quando scorgeva un pesce, lo catturava con la mano destra e lo addentava. In questo stato lo vide un giovane che era stato un tempo al suo servizio quando giunse sull’isola per fargli visita. Mi chiedo quale vista fosse più miserevole, se quella del prete o della madre di Maudgalyayana. Oserei pensare che la vista della madre di Maudgalyayana fosse ancor più pietosa di quella del prete.

                Alla vista di sua madre, Maudgalyayana fu così sopraffatto dalla pena che fece immediatamente uso dei suoi grandi poteri sovrannaturali e le offrì del riso. La madre ne fu felice e, afferrando parte del riso con la mano destra mentre nascondeva il resto nella sinistra, se ne riempì la bocca. Ma accadde che il riso si trasformò in fuoco e cominciò a bruciare! Si incendiò come se fosse stato acceso un fascio di torce e il corpo della madre cominciò a crepitare e a bruciare.

                  Vedendola, Maudgalyayana fu colto dal panico e, con i suoi poteri sovrannaturali, fece scaturire un grande getto d’acqua, ma – vista ancor più pietosa ai suoi occhi – l’acqua si trasformò in legna e il corpo della madre non fece che ardere con maggior furore. Rendendosi conto che i suoi poteri sovrannaturali erano del tutto inadeguati, Maudgalyayana corse via e istantaneamente apparve al cospetto del Budda al quale rivolse un accorato appello.

                    «Sono nato in una famiglia di credenti del Brahmanesimo – disse – ma in seguito sono diventato un discepolo del Budda. Ho ottenuto il rango di arhat, mi sono liberato dalla rinascita nel triplice mondo e ho acquisito le tre facoltà conoscitive e i sei poteri sovrannaturali che accompagnano lo stato di arhat. Ma adesso, quando cerco di salvare la mia stessa madre dalle enormi sofferenze che l’affliggono, riesco solo a rendere ancor peggiore la sua agonia e questo mi riempie il cuore di dolore!».

                      Il Budda replicò: «Tua madre si è macchiata di gravi colpe. Da solo tu non hai il potere di rimediare a questa situazione. E in verità nessuno, né le divinità del cielo, le divinità della terra, i demoni, i seguaci del Brahmanesimo, i taoisti e i quattro re celesti, né gli dèi Brahma e Shakra hanno il potere di farlo. Perciò il quindicesimo giorno del settimo mese, raduna tutti i santi monaci delle dieci direzioni, prepara cibi e bevande di cento sapori differenti e offrili loro allo scopo di salvare tua madre dalle sue sofferenze».

                        Maudgalyayana fece esattamente come il Budda gli aveva insegnato e così sua madre fu liberata dal regno degli spiriti affamati, dove era destinata a soffrire per la durata di un kalpa. Così è scritto nel Sutra del Servizio funebre per i defunti. Questa è la ragione per cui anche adesso, nell’ultima epoca dopo la morte del Budda, la gente conduce questa cerimonia il quindicesimo giorno del settimo mese. È diventata una pratica consueta.

                          Io, Nichiren, vorrei far osservare quanto segue. Il Venerabile Maudgalyayana era una persona che, tra i Dieci mondi, apparteneva alla strada degli ascoltatori della voce. La sua osservanza dei duecentocinquanta precetti era salda come una roccia e il suo rispetto delle tremila regole di condotta era perfetto e privo della benché minima lacuna, come la luna piena nella quindicesima notte. La sua saggezza era come il sole e i suoi poteri sovrannaturali gli permettevano di circondare quattordici volte il monte Sumeru5 e di spostare l’enorme montagna.

                            E tuttavia, pur essendo un santo di questo livello, trovò estremamente difficile ripagare il grande debito di gratitudine nei confronti di sua madre. E inoltre, quando cercò di ripagarlo, non fece che accrescerne l’enorme sofferenza.

                              In confronto, i preti di oggi osservano i duecentocinquanta precetti solo di nome e in realtà fanno uso della loro cosiddetta osservanza dei precetti per ingannare gli altri. Essi non possiedono il benché minimo potere trascendente, così come un enorme masso non può salire al cielo. La loro saggezza è simile a quella di un bue e non è differente da quella di una pecora. Anche riunendosi a migliaia o decine di migliaia, non riusciranno mai ad alleviare di un briciolo la sofferenza dei loro defunti genitori.

                                Tutto sommato, la ragione per cui Maudgalyayana non poteva salvare sua madre dalla sofferenza era che riponeva fede nelle dottrine hinayana e si dedicava a osservare i duecentocinquanta precetti. Secondo il Sutra di Vimalakirti, il laico Vimalakirti criticò Maudgalyayana dicendo: «Quelli che ti fanno l’elemosina cadranno nei tre cattivi sentieri». Il significato di questa frase è che, sebbene il Venerabile Maudgalyayana fosse un uomo rispettabile che osservava i duecentocinquanta precetti, coloro che gli facevano offerte sarebbero rinati in uno dei tre cattivi sentieri. E questo non vale solo per Maudgalyayana, ma per tutti gli ascoltatori della voce e per coloro che in quest’ultima epoca danno importanza all’osservanza dei precetti.

                                  Rispetto al Sutra del Loto, questo Sutra di Vimalakirti non è che un umile suddito di basso rango. Il punto è che il Venerabile Maudgalyayana stesso non aveva ancora conseguito la Buddità. E poiché egli stesso non l’aveva conseguita, era molto difficile che riuscisse ad alleviare le sofferenze dei suoi genitori e, a maggior ragione, quelle di chiunque altro.

                                    Successivamente però, seguendo l’insegnamento del Sutra del Loto di scartare onestamente gli espedienti6, il Venerabile Maudgalyayana mise da parte immediatamente i duecentocinquanta precetti degli insegnamenti hinayana e recitò Nam-myoho-renge-kyo. Col tempo Maud­galyayana conseguì la Buddità e fu chiamato Budda Fragranza di Sandalo Foglia di Tamala. E a quel tempo anche suo padre e sua madre conseguirono la Buddità. Per questo si dice nel Sutra del Loto che «si realizzerebbe ogni nostro desiderio e insieme verrebbero soddisfatte le aspirazioni della moltitudine»7.

                                      Maudgalyayana ereditò il suo corpo fisico dai genitori. Perciò quando il suo corpo conseguì la Buddità anche i corpi di suo padre e di sua madre la conseguirono.

                                        Facendo un’analogia, consideriamo il caso del condottiero Taira no Kiyomori, il governatore di Aki, che visse al tempo dell’ottantunesimo sovrano del Giappone, l’imperatore Antoku. Combattendo una battaglia dopo l’altra, Kiyomori sgominò i nemici del paese e, con l’andar del tempo, salì fino alla più alta carica ufficiale, quella di gran ministro. L’imperatore Antoku era suo nipote. A tutti i membri del suo clan fu concesso di entrare a palazzo e furono assegnate posizioni di grande prestigio. Kiyomori teneva nel palmo della sua mano l’intero paese del Giappone con le sue sessantasei province e le due isole lontane8, e la gente si inchinava davanti a lui come piante e alberi di fronte a un forte vento.

                                          Ma egli diventò arrogante e si gonfiò d’orgoglio; alla fine trattò con disprezzo gli dèi e i Budda, e cercò di dettar legge ai custodi dei templi e ai preti buddisti, suscitando l’ostilità dei preti del Monte Hiei e dei sette templi principali di Nara. Infine, il ventiduesimo giorno del dodicesimo mese del quarto anno dell’era Jisho (1180), giunse al punto di incendiare due di quei sette templi, il Todai-ji e il Kofuku-ji.

                                            Ben presto sulla persona del gran ministro, egli stesso un prete laico, si abbatté la retribuzione per questa grave colpa. L’anno seguente, il primo dell’era Yowa, nel quarto giorno del secondo mese intercalare [avendo contratto una febbre] cominciò a bruciare come un pezzo di carbone: il corpo era il combustibile e il volto le fiamme. Infine lingue di fuoco sprizzarono dal suo corpo ed egli morì per il calore.

                                              Poi gli effetti della sua grave colpa ricaddero sul secondo figlio, Munemori. Egli fu visto sprofondare nel mare occidentale [nella battaglia di Dannoura], ma riaffiorò a oriente dove fu catturato, legato e costretto a inginocchiarsi davanti al generale della destra, Minamoto no Yoritomo.

                                                Nel frattempo, il terzo figlio di Kiyomori, Tomomori, si gettò in mare e finì come escremento dei pesci. E il quarto figlio, Shigehira9, fu fatto prigioniero, legato e, dopo esser stato trascinato prima per tutta Kyoto e poi attraverso Kamakura, venne consegnato ai sette principali templi di Nara. Ivi si riunì una grande moltitudine di centomila seguaci dei templi che, dichiarandolo nemico del loro Budda, uno a uno lo trafissero con le spade.

                                                  Il più grande di tutti i mali produce conseguenze che non colpiscono solo chi l’ha commesso, ma si estendono ai suoi figli, nipoti e così via fino alla settima generazione. E lo stesso vale per il più grande di tutti i beni.

                                                    Poiché il Venerabile Maudgalyayana ripose fede nel Sutra del Loto che è il massimo bene che esista, non solo lui, ma anche suo padre e sua madre conseguirono la Buddità. E come se non bastasse, anche tutti i padri e le madri delle sette generazioni precedenti e delle sette generazioni successive, e in verità di innumerevoli vite precedenti e successive, furono in grado di conseguire la Buddità, per quanto incredibile possa sembrare. Inoltre i loro figli, le mogli, i mariti, i servi, i sostenitori e innumerevoli altre persone poterono non solo sfuggire ai tre cattivi sentieri, ma anche ottenere tutti il primo stadio della sicurezza e in seguito la Buddità, lo stadio della perfetta illuminazione.

                                                      Perciò nel terzo volume del Sutra del Loto si dice: «Ci auguriamo che i meriti ottenuti grazie a questi doni possano estendersi in lungo e in largo a tutti, così che noi e gli altri esseri viventi possiamo raggiungere tutti insieme la via del Budda»10.

                                                        Con tutto questo in mente, vorrei farti notare che tu hai un nipote, Jibu-bo, che è un prete buddista. Questo prete non osserva i precetti e manca di saggezza. Non osserva nemmeno uno dei duecentocinquanta precetti e nemmeno una delle tremila regole di condotta. Per la sua mancanza di saggezza è nella stessa categoria dei buoi o dei cavalli e, visto che non osserva le regole di condotta, assomiglia a una scimmia. Ma egli riverisce il Budda Shakyamuni e ha fede nell’insegnamento del Sutra del Loto. Dunque è come un serpente che stringe in bocca un gioiello o come un drago che porta reliquie sacre sulla testa11. Un tralcio di glicine, avvolgendosi intorno a un pino, può salire nell’aria fino a mille hiro12 e un airone può viaggiare diecimila ri perché può contare sulle proprie ali. Non è con le loro sole forze che sono in grado di compiere queste imprese.

                                                          Ciò si applica allo stesso modo al caso del prete Jibu-bo. Anche se egli è come un tralcio di glicine, poiché si arrampica sul pino del Sutra del Loto può scalare la montagna della perfetta illuminazione. Poiché può fare affidamento sulle ali dell’unico veicolo, può librarsi nel cielo della Luce Tranquilla. Con simili ali è un prete che può recare conforto non solo ai suoi genitori e nonni, ma anche ai suoi parenti fino alla settima generazione!

                                                            Che donna fortunata sei a possedere questo splendido gioiello! La figlia del re drago offrì il suo gioiello e conseguì la Buddità13. Tu hai offerto tuo nipote come devoto del Sutra del Loto e ciò ti condurrà all’illuminazione!

                                                              In questo momento ho troppo da fare e non posso dirti di più. Ti scriverò ancora un’altra volta.

                                                                Con profondo rispetto,

                                                                  Nichiren

                                                                    Il tredicesimo giorno del settimo mese

                                                                      Risposta alla nonna di Jibu-bo

                                                                          Cenni Storici

                                                                          Questa lettera venne scritta per la nonna di Jibu-bo Nichii, uno dei discepoli del Daishonin, in risposta alle offerte da lei inviate in occasione del servizio funebre annuale per gli antenati defunti.

                                                                          Collocata per molto tempo nel terzo anno di Kenji (1277), alla luce di più recenti studi la lettera sembra risalire al secondo anno di Koan (1279).

                                                                          In essa il Daishonin offre una spiegazione dettagliata sull’origine di questa cerimonia tradizionale all’epoca assai diffusa, attribuita qui agli sforzi di Maud­galyayana per salvare la madre defunta. Si narra infatti che Maudgalyayana, uno dei discepoli principali di Shakyamuni, per quanto dotato di poteri sovrannaturali non riuscisse in alcun modo ad alleviare i tormenti della madre che era caduta nel regno degli spiriti affamati, in quanto egli riponeva fede nella versione hinayana del Buddismo, si dedicava a osservare i precetti e per questo non aveva conseguito la Buddità. Il Daishonin spiega che, quando Maudgalyayana mise da parte i precetti, recitò Nam-myoho-renge-kyo e così facendo conseguì la Buddità, anche i suoi genitori defunti poterono conseguirla.

                                                                          Si pensa che la nonna di Jibu-bo vivesse nel distretto di Ihara della provincia di Suruga. Secondo L’elenco dei discepoli ai quali Nikko conferì un Gohonzon di Nikko Shonin, Jibu-bo, dapprima prete Tendai al tempio Shijuku di Suruga, prese fede negli insegnamenti del Daishonin e studiò sotto Nichiji, che in seguito divenne uno dei sei discepoli anziani del Daishonin. Pur non disponendo di ulteriori notizie, si ritiene che sia stato lo stesso Jibu-bo a convertire la nonna agli insegnamenti del Daishonin.

                                                                          Note

                                                                          1. Servizio funebre per gli antenati defunti (giap. urabon, sans. ullambana): cerimonia buddista per il riposo dei defunti che si celebrava annualmente, di solito il quindicesimo giorno del settimo mese. Ura significa appendere per i piedi, una delle torture a cui vengono sottoposte le persone nel mondo degli spiriti affamati (avidità); bon, vassoio. Significa dunque letteralmente “fare offerte a beneficio dei defunti che si trovano nel mondo degli spiriti affamati”.
                                                                          2. Kissen Shishi e Shodai-nyo sono i nomi giapponesi dei genitori di Maudgalyayana; quelli sanscriti sono sconosciuti.
                                                                          3. Primo stadio: il primo dei quattro stadi dell’illuminazione hinayana a cui aspiravano gli ascoltatori della voce.
                                                                          4. Shunkan: (m. 1179) prete della scuola Tendai che nel 1177 partecipò a una congiura contro il governo militare di Taira no Kiyomori. Il complotto fu scoperto e Shunkan venne condannato all’esilio sull’isola di Iogashima, a sud del Kyushu, dove morì. Secondo Storia degli Heike, durante il terzo anno d’esilio, un giovane di nome Ario, che aveva servito Shunkan sin dall’infanzia, si recò sull’isola per visitare il suo maestro.
                                                                          5. In Parole e frasi del Sutra del Loto, T’ien-t’ai cita un’affermazione simile tratta dal Sutra Agama in ordine numerico crescente.
                                                                          6. Vedi Il Sutra del Loto, cap. 2, p. 90.
                                                                          7. Ibidem, cap. 9, p. 223.
                                                                          8. Due isole lontane: Iki e Tsushima, isole al largo della costa di Kyushu.
                                                                          9. Shigehira: Taira no Shigehira (1156-1185). Nel 1180, per ordine di suo padre, Taira no Kiyomori, attaccò i preti di Nara e incendiò completamente i templi Todai e Kofuku. Tuttavia, nel 1184, nella battaglia di Ichinotami, fu fatto prigioniero dall’esercito di Minamoto e poi consegnato ai preti di Nara che lo fecero decapitare.
                                                                          10. Vedi Il Sutra del Loto, cap. 7, p. 192.
                                                                          11. Una volta, in Cina, il marchese di Sui si imbatté in un grande serpente ferito; lo medicò e più tardi il serpente gli apparve con un gioiello in bocca per ricompensarlo. Questa storia è narrata nella lettera di Ts’ao Chih (192-232) indirizzata a Yang Te-tsu, contenuta nell’Antologia letteraria. È ignota invece la fonte della storia del drago.
                                                                          12. Hiro: unità di misura pari a 1,8 metri.
                                                                          13. Episodio descritto nel dodicesimo capitolo del Sutra del Loto, “Devadatta”. La fanciulla drago possedeva un gioiello estremamente prezioso che donò al Budda.
                                                                          La Biblioteca di Nichiren
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