330. Risposta alla moglie di Gyobu Saemon-no-jo
Luogo sconosciuto, Data sconosciuta. Indirizzata a Gyobu Saemon-no-jo, moglie di
Questo mese ho ricevuto la lettera nella quale mi informi di aver allegato un’offerta di venti kan di monete perché il terzo giorno del decimo mese ricorre il tredicesimo anniversario1 della morte di tua madre.
Il nucleo degli oltre tremila volumi di cui sono composti i classici non buddisti è costituito dai due concetti di lealtà e di pietà filiale, mentre l’occhio degli oltre cinquemila volumi delle scritture buddiste è il concetto di devozione filiale. Il sole e la luna non illuminano volentieri una persona che manca di devozione filiale e gli dèi della terra la guardano furibondi. Un sutra narra che un tempo tutti gli esseri viventi dei sei sentieri dell’esistenza si riunirono al cospetto del Budda, e questi interrogò ognuno sulla loro situazione di vita. Rivolgendosi agli dèi della terra disse: «Ditemi, esiste qualcosa di più pesante della grande terra?». Gli dèi della terra risposero che, con rispetto parlando, in effetti c’era qualcosa di più pesante della grande terra.
«Voi dèi della terra!» disse il Budda. «Perché dite cose tanto distorte! Questo nostro sistema maggiore di mondi in tutte le sue parti poggia sulla grande terra. Il monte Sumeru, che misura 168.000 yojana in altezza e 3.360.000 ri in larghezza, il grande mare che misura 84.000 yojana in lunghezza e in larghezza, e anche tutti gli esseri viventi, le piante e gli alberi, tutte queste cose poggiano sulla grande terra. Dato che la terra è in grado di sostenere tutto questo, come potrebbe esserci qualcosa di più pesante della terra stessa?».
Gli dèi della terra risposero: «Visto che il Budda conosce la risposta, forse lo sta chiedendo in modo che anche altri ne vengano a conoscenza. Noi dèi della terra esistiamo da ventinove kalpa, e per tutto questo tempo abbiamo sostenuto e sorretto la grande terra senza provare alcun dolore al collo o alla schiena. Inoltre, mentre la sosteniamo, corriamo nello spazio, ora a est, ora a ovest, ora a sud, ora a nord, eppure non ci sembra pesante. Solo il posto dove dimora una persona dal cattivo comportamento filiale è pesante, più pesante di ciò che possiamo sopportare. Ci fa dolere il collo, ci sembra che la schiena si spezzi, sentiamo le ginocchia deboli, non riusciamo a muovere i piedi, gli occhi si inondano di lacrime e la nostra forza vitale viene meno. Ah, quando troviamo un posto dove dimora una persona che non ha un buon comportamento filiale, pensiamo continuamente a quanto vorremmo afferrare la terra e gettarla via! Ecco perché la terra trema costantemente nel luogo in cui dimora una persona dalla cattiva condotta filiale.
«Fu così anche nel caso di quell’uomo che si chiamava Devadatta. Era un cugino del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, e apparteneva al clan reale; era una delle persone di più nobili natali di tutto il continente di Jambudvipa. Nonostante ciò, non era un buon figlio e, per questo motivo, non eravamo in grado di sorreggere la terra sotto di lui. Così la terra si spaccò in due ed egli cadde nell’inferno di incessante sofferenza. La nostra forza fu del tutto incapace di impedirlo».
Così gli dèi della terra si spiegarono dettagliatamente col Budda, e il Budda annuì in segno di assenso dicendo: «Davvero! È proprio così!». Poi sospirò e disse: «Dopo la mia scomparsa le persone avranno un comportamento filiale ancor peggiore di quello di Devadatta. Supereranno perfino Kokalika». (Questa è l’essenza del sutra2).
Il Sutra del Nirvana dice che, nel mondo malvagio dell’ultima epoca, le persone che mancano di pietà filiale saranno più numerose dei granelli di polvere della terra, mentre coloro che adempiono i loro doveri filiali con devozione saranno pochi come il terriccio che può stare su un’unghia.
Ora io, Nichiren, vorrei osservare che, a mio avviso, questo passo del sutra descrive correttamente la situazione. Non occorre ormai sottolineare quanto sia grande il debito di gratitudine che si ha verso il proprio padre e la propria madre. Ma vorrei sottolineare che il debito nei confronti della propria madre è particolarmente importante e meritevole di profonda considerazione.
Quando osserviamo come perfino gli uccelli in volo nutrano i loro piccoli, come perfino le bestie che corrono per i campi si preoccupino della loro prole, volgiamo lo sguardo stupiti, gli occhi colmi di meraviglia. In particolar modo dovremmo tenere a mente il debito di gratitudine nei confronti di nostra madre per via dei dolori che patisce nei nove mesi in cui il figlio è nell’utero. In quel periodo il suo ventre è gonfio e teso come un tamburo e il suo collo assomiglia a uno spillo. Ha il fiato corto, riesce a malapena a inspirare e la carnagione ha il colore dell’erba appassita. Quando si sdraia, la pancia sembra spaccarsi; quando si siede, non trova una posizione per riposare le membra. E, man mano che si avvicina il momento del parto, il dolore è sempre maggiore, come se le spezzassero in due le anche e le strappassero dal corpo, e gli occhi sono fuori dalle orbite, come se uscissero dalla testa per volare in cielo.
Quando poi è riuscita a mettere al mondo questo nemico che le ha provocato un tale dolore, ci si aspetterebbe che lo sbatta per terra, che gli squarci la pancia e lo getti via. Ma, ovviamente, non è questo che accade. Al contrario, evitando di pensare al proprio dolore, ella si affretta a prendere il bambino tra le braccia, lo pulisce dal sangue, lo lava per togliergli lo sporco e lo stringe al petto, e per un periodo di tre anni lo nutre assiduamente.
Durante questo periodo il bambino consuma 180 koku, tre sho e cinque go3 di latte materno. In verità, anche un solo go di questo latte vale quanto un intero sistema maggiore di mondi. E quanto vale uno sho di questo latte? In quantità di riso, è l’equivalente di 11.850 koku e 5 sho; in piante di riso, sono più di 21.700 covoni e in tessuto, 3.370 rotoli. Quanto è grande dunque il valore di 180 koku, tre sho e cinque go di questo latte!
Se noi rubassimo anche una sola moneta o un solo go di riso a un’altra persona, finiremmo in prigione. Eppure una madre è in grado di produrre il tipo di nutrimento che ho descritto per dieci figli, ma a volte quei figli non si prendono affatto cura della loro unica madre. Una moglie può abbracciare e scaldare il corpo di suo marito, ma non c’è una moglie che scaldi le gambe infreddolite di una madre.
Il fagiano d’oro del monastero di Jetavana4 volò dentro il fuoco nel tentativo di salvare la sua prole. Ma la Signora Kaushika5, per via di qualcosa che suo marito aveva fatto, provocò la morte del suo stesso padre. Il Budda disse: «I padri e le madri pensano costantemente ai loro figli, ma i figli non pensano ai loro padri e alle loro madri». E il re Bimbisara disse: «Il padre pensa al figlio, ma il figlio non pensa al padre»6. Quando fecero tali affermazioni, avevano in mente episodi come questi.
Anche se c’è chi serve i propri genitori con devozione filiale nella vita presente, poche persone pensano a cosa sarà di loro nella prossima esistenza. Così, finché la madre è ancora in vita, pur non preoccupandosi eccessivamente di lei, si va a trovarla una volta al mese o una volta all’anno. Ma, dopo la morte, si onora la sua memoria soltanto per il primo o il secondo periodo di sette giorni, o al massimo fino all’inizio del terzo anno, e questo soltanto in modo formale perché gli altri ci guardano. Però, nessuno penserebbe mai di continuare le onoranze funebri per un periodo di tredici anni, qualcosa come quattromila giorni e più, [come hai fatto tu].
Quando una madre è in vita, perfino un giorno o un’ora lontano dai figli possono sembrarle lunghi come mille o diecimila giorni. Dopo la sua morte, quindi, chissà quanto le sembreranno lunghi tredici anni, quattromila giorni e più, senza avere la minima notizia della sua prole! Chissà quanto bramerà avere qualche notizia dei vivi!
Il Classico della pietà filiale, uno dei classici non buddisti, insegna soltanto a prendersi cura dei propri genitori con devozione filiale nella vita presente. Non dice nulla in merito alla prossima esistenza. Questo è come curare le malattie del corpo senza far niente per alleviare le pene della mente. Allo stesso modo, gli oltre cinquemila volumi delle scritture buddiste [predicate prima del Sutra del Loto] spiegano come accedere ai regni degli esseri umani o degli esseri celesti, o dei due veicoli degli ascoltatori della voce e dei risvegliati all’origine dipendente, ma non conducono sul sentiero della Buddità.
Il padre del Venerabile Maudgalyayana era Kissen Shishi e sua madre era Shodai-nyo7. Dopo la morte, la madre rinacque nel regno degli spiriti affamati. Suo figlio Maudgalyayana, che all’epoca era un essere comune, non ne era a conoscenza. In seguito, quando ottenne il livello di illuminazione di una persona dei due veicoli, acquisì l’occhio celeste8 e, guardandosi intorno, vide che la madre era caduta nel regno degli spiriti affamati. Ne fu così colpito e addolorato da non riuscire nemmeno a piangere.
Si recò nel regno degli spiriti affamati e offrì del riso a sua madre, ma, non appena ella ne prese un boccone, il riso si trasformò in fiamme. La sua bocca era come un calderone e i chicchi di riso come carboni ardenti. Il suo intero corpo bruciava come una torcia in fiamme, e quando Maudgalyayana, facendo appello ai suoi poteri sovrannaturali, fece apparire dell’acqua per spegnere l’incendio, l’acqua si trasformò in fiamme e il fuoco arse più violento che mai.
Maudgalyayana, rendendosi conto che porvi rimedio era al di là dei suoi poteri, si affrettò a presentarsi al cospetto del Budda per riferirgli la situazione. [Poi, come il Budda gli aveva insegnato] fece un offerta di riso ai santi monaci delle dieci direzioni, prese un po’ di quel riso e lo offrì a sua madre, e riuscì appena a portarle un minimo sollievo dalle sofferenze del regno degli spiriti affamati.
Il settimo giorno dopo la nascita del Budda Shakyamuni, sua madre, la Signora Maya, lo lasciò e abbandonò questa vita. Shakyamuni, che all’epoca era solo un essere comune, non sapeva dove fosse rinata. Quando divenne un Budda all’età di trent’anni, convertì ai suoi insegnamenti il padre, il re Shuddhodana, che era ancora in vita, e lo condusse a diventare un arhat che ha ottenuto il frutto dell’emancipazione. Nel frattempo, per il bene di sua madre, il Budda ascese al cielo dei trentatrè dèi e predicò per lei il Sutra di Maya. In questo modo sia il padre sia la madre furono in grado di raggiungere lo stadio di arhat.
Per via dei fatti che ho descritto, nei sutra predicati prima del Sutra del Loto, Maudgalyayana era considerato un uomo dei due veicoli di particolare devozione filiale, e Shakyamuni un Budda dotato di particolare devozione filiale. Ma, se vediamo le cose da una prospettiva più ampia, in realtà Maudgalyayana era un ascoltatore della voce senza alcuna devozione filiale e Shakyamuni un Budda senza alcuna devozione filiale. Per quanto fosse santo, il Venerabile Maudgalyayana non guidò sua madre sul sentiero che conduce alla Buddità. E, per quanto il Budda Shakyamuni fosse veramente un grande santo, si limitò a portare suo padre e sua madre sul sentiero dei due veicoli, dove avrebbero sofferto ancor di più perché non avrebbero mai potuto conseguire la Buddità. Questa si può chiamare devozione filiale, o merita di essere definita una cattiva condotta filiale?
Perciò il laico Vimalakirti criticò Maudgalyayana, definendolo un discepolo dei sei maestri non buddisti. E il Budda parlò di se stesso in tono di rimprovero, dicendo: «[Se impiegassi il Piccolo Veicolo per convertire anche una sola persona], sarei colpevole di avarizia, ma tale cosa sarebbe impossibile»9. Maudgalyayana non sapeva fare niente di meglio, e quindi la sua colpa è in qualche misura meno pesante. Ma il Budda conosceva gli insegnamenti che sarebbero stati esposti nel Sutra del Loto, eppure fu così avaro da tenerli nascosti a suo padre finché questi era ancora in vita. E quando si riunì alla madre, che era morta in precedenza, non li predicò nemmeno a lei. Esiste una persona colpevole di un’avarizia maggiore di questa?
Se andiamo al nodo della questione e riflettiamo profondamente, dovremmo dire che il Budda in realtà ha infranto tutti i duecentocinquanta precetti e ha violato i dieci precetti maggiori. Se non avesse predicato il Sutra del Loto, non sarebbe mai potuto sfuggire alla grave colpa di avere condotto tutte le persone delle dieci direzioni a tenere una cattiva condotta filiale. Quindi, il Gran Maestro T’ien-t’ai, riferendosi a questo, disse: «La colpa va attribuita al Budda»10. E un’altra persona disse: «Ha voltato le spalle al voto originale fatto dai Budda delle dieci direzioni e delle tre esistenze e ha truffato e ingannato la gente».
Qualsiasi atto di pietà filiale essi compiano, finché i Budda, i bodhisattva, le persone dei due veicoli, Brahma, Shakra, gli dèi del sole e della luna, e gli altri esseri descritti nei sutra mahayana e hinayana, essoterici ed esoterici, predicati per più di quarant’anni dal Budda, e i fondatori delle scuole della Vera parola, della Ghirlanda di fiori, dei Tre trattati, delle Caratteristiche dei dharma, del Tesoro dell’Abhidharma, dell’Affermazione della verità, dei Precetti, della Pura terra, e della scuola Zen mancheranno di seguire il Sutra del Loto, non potranno sfuggire all’accusa cui si riferisce il Budda quando dice: «Sarei colpevole di avarizia ». Pertanto il Budda, onorando il suo voto originale, passò a predicare il Sutra del Loto.
Ma il padre e la madre del Budda non erano più in questo mondo quando egli iniziò a predicare il Sutra del Loto. Quindi egli lo inviò in dono nella Terra di Transizione11 dove erano rinati i suoi genitori. Questo è ciò che intendeva quando disse: «Quei discepoli […] cercheranno la saggezza del Budda in quell’altra terra e riusciranno a udire questo sutra»12. Le persone veramente sagge dovrebbero tenere ben presente questo passo del sutra. Il Sutra del Loto fu predicato dal Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, per il bene di suo padre e di sua madre. Ma il Gran Maestro T’ien-t’ai fu l’unico che comprese questa dottrina. Le persone delle altre scuole non la capirono. In cuor mio, io, Nichiren, credo che, di tutte le dottrine, questa sia la più importante.
Le persone intenzionate a comportarsi con devozione filiale verso i propri genitori dovrebbero quindi inviare loro il dono del Sutra del Loto. Il Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, inviò questo sutra ai suoi genitori come atto di devozione filiale nei loro confronti.
Quando mia madre era ancora in vita, troppe volte ho contravvenuto alle sue parole e, ora che mi ha preceduto nella morte, non posso fare a meno di sentire un profondo rimorso. Per questo ho esaminato i sacri insegnamenti esposti dal Budda nell’arco della sua vita, allo scopo di determinare quali sono le azioni più adatte a dimostrare devozione filiale nei confronti di mia madre. Quando vedo le persone pregare per la propria madre defunta, è come se la cosa mi riguardasse personalmente, e vedere te farlo mi rende molto felice. Perciò ho spiegato qui ciò che a mio avviso si dovrebbe fare.
Non ho il minimo dubbio che lo spirito della tua defunta madre abbandonerà immediatamente i sei sentieri, con le loro contaminazioni, e riuscirà a raggiungere la pura terra del Picco dell’Aquila. Di tanto in tanto dovresti incontrarti con chi ti può insegnare il Buddismo e farti spiegare questa dottrina da loro. È una dottrina che pochi conoscono in Giappone. Te ne parlerò più dettagliatamente in un’altra occasione.
Con profondo rispetto,
Nichiren
Il ventunesimo giorno del decimo mese
Risposta alla moglie di Gyobu Saemon-no-jo di Owari
Cenni Storici
Nichiren Daishonin scrisse questa lettera in risposta alla moglie di Gyobu Saemon-no-jo della provincia di Owari, la quale gli aveva inviato un’offerta di ventimila monete per celebrare il tredicesimo anniversario della morte di sua madre. L’identità di suo marito non è certa, ma, dalla grande somma di monete che fu in grado di offrire, si ritiene che si trattasse di un samurai di alto rango. Anche se l’anno di stesura non è indicato, si pensa che la lettera sia stata scritta nel 1280.
Il Daishonin comincia citando una storia tratta da un sutra che riguarda un dialogo tra il Budda e gli dèi della terra sull’importanza della pietà filiale, dell’impegno e delle azioni per ripagare il debito di gratitudine nei confronti dei propri genitori. Egli sottolinea che il debito nei confronti della madre è particolarmente profondo, e descrive in modo dettagliato e commovente le sofferenze che sopporta una madre nel mettere al mondo e allevare i figli.
Il Daishonin loda poi la devozione filiale della moglie di Gyobu Saemon-no-jo nel fare offerte per la madre defunta, definendola straordinaria. Mentre la devozione che i genitori hanno verso i figli non è insolita, è molto più raro che i figli facciano altrettanto. Il Daishonin approfondisce poi ulteriormente il concetto di pietà filiale nel Buddismo. Il classico della pietà filiale, un testo confuciano, cita solo la devozione verso i propri genitori finché sono in vita, e manca di tenere conto della loro esistenza futura. Il Buddismo, invece, si interessa alla salvezza dei genitori non solo in questa vita, ma anche dopo la morte. Però, egli afferma, anche tra gli insegnamenti buddisti esistono delle distinzioni.
Per illustrare questo punto, egli cita la famosa storia, tratta dalle scritture buddiste, di Maudgalyayana che compì grandi sforzi per salvare sua madre dal regno degli spiriti affamati. Questa storia è considerata un modello di devozione filiale buddista. Ma, anche se Maudgalyayana liberò sua madre dalle sofferenze della fame, non risulta che l’abbia messa in grado di conseguire la Buddità.
Il Daishonin spiega che perfino il Budda Shakyamuni non fu in grado di salvare i propri genitori defunti finché non predicò il Sutra del Loto. Egli pertanto esprime la sua convinzione che il Budda Shakyamuni predicò il Sutra del Loto al fine di permettere a tutte le persone di aiutare i genitori defunti a conseguire la Buddità.
Il Daishonin conclude confermando che la devozione filiale della moglie di Gyobu, basata sulla fede nel Loto, garantisce che sua madre «riuscirà a raggiungere la pura terra del Picco dell’Aquila», ovvero, conseguirà la Buddità.